La Magia del Natale

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Aprendo la porta fu investito dal silenzio.

Trascinando quella gamba ormai da tempo malandata, che con il freddo lo faceva dannare, Arturo chiuse a chiave la porta d'ingresso e lentamente entrò nella cucina buia, muovendosi con la sicurezza di chi conosceva quel luogo alla perfezione.

Al centro della stanza si trovava il tavolo di formica verde pallido, sul quale posò il sacchetto della spesa.

Quel tavolo ormai logoro, levigato ai lati dall'usura, scheggiato in più punti, con le gambe un tempo così lucide da potercisi specchiare, oggi invece opache, rigate e a tratti scrostate, era parte fondamentale della sua vita e non se ne sarebbe separato per nessuno motivo, mai.

Su quel tavolo, il giorno delle nozze aveva consumato la prima cena con la moglie, quasi cinquant'anni prima.

Su quel tavolo, erano stati cambiati i pannolini al suo unico e ado­rato figlio, e sempre su quel tavolo aveva spento tutte le candeline dei suoi compleanni.

Su quel tavolo aveva pianto lacrime di amarezza, di gioia e di dolore.

Spostandosi appena di lato, aprì l'anta del frigorifero e la flebile luce illuminò un pezzo di formaggio perfettamente avvolto nella pellicola trasparente, alcune uova meticolosamente allineate negli appositi scom­parti, un panetto di burro e due mele rosse riposte nel cassetto sul fondo.

Arturo depose sul ripiano più basso le due fettine di carne appena acquistate e una piccola rosa di lattuga.

Nello scomparto sull'anta, incastrò il cartone del latte, assicurando­si che non si rovesciasse. Chiuse il frigorifero e, girandosi lentamente verso l'esterno della stanza, accese la luce.

La piccola serpentina al neon, appesa al lampadario di vetro a for­ma di margherita, iniziò piano piano a emettere un cono luminoso che andava via via schiarendosi con il passare dei minuti.

Arturo si tolse il cappello, la sciarpa, il cappotto e appese tutto sull'attaccapanni a muro dell'ingresso. Infilò le comode pantofole te­nute in caldo sotto al calorifero e tornò in cucina a prepararsi la cena.

Era passato in rosticceria e, anche se la sua pensione non gli per­metteva sprechi, aveva preso un antipasto di insalata di piovra, una porzione di lasagne al forno, una fettina di salmone al pepe verde e, facendo uno strappo alla regola, anche un quartino di Chianti, che gli piaceva tanto.

Era la Vigilia di Natale e aveva voluto farsi un regalo.

Sorridendo, guardò il viso della moglie che lo fissava da una corni­ce in argento.

«Hai visto, Matilde, cosa mi sono comperato?» disse accarezzando con due dita le guance della donna. Per lui era come se il vetro non esistesse, come se quella carezza sfiorasse davvero il rosa incarnato della mo­glie. «Stasera cenerò anch'io come un gran signore... peccato non ci sia nessuno a farmi compagnia».

E proprio mentre diceva questo a voce alta, sentì un suono provenire dall'e­sterno, sembrava un vociare di bambini in lontananza. Ascoltò con più attenzione e si rese conto che il suono proveniva dal minuscolo giardino davanti casa sua.

Si infilò la giacca da camera per non prendere freddo e andò ad aprire la porta finestra.

Sdraiata sulla spalletta di marmo, c'era una gatta in avanzato stato interessante.

«Oh Signur benedett» disse Arturo, «e adess se fù?».

Rientrò in casa, prese dal divano la vecchia coperta che usava per scaldarsi le gambe mentre guardava la televisione, la piegò in due parti e tornò dalla gatta per posarla sul pavimento.

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