3. - lost in toxic skies

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Manuel Ferro's pov.

Giocherellai con la zip del giubbotto mentre cercavo di non pensare del tutto al freddo della sera. Ero da solo, intorno a me c'erano solamente delle case spente. Non una luce, non un rumore. Non sapevo perché dovessi rimanere proprio là a fare il palo. Tra tanti posti...

Mi guardai intorno, ma non vidi nessuno in particolare. C'era qualche signore che camminava lontano, comparendo da un vicolo e scomparendo dietro l'angolo di un altro. Io, invece, stavo fermo ad ascoltare il suono dei grilli, o delle cicale, che ne sapevo. C'era insomma qualche animale che friniva e faceva da sfondo ai miei pensieri da deficiente.

Uno zaino in mano pieno di cose che nessuno avrebbe mai dovuto scoprire. Eppure pensavo ad altro, non riuscivo a concentrarmi. Ad altro.

«Te piazzi là senza fa' r minimo rumore, consegni sto schifo de zaino e sparisci» aveva detto Sbarra col suo tono semplicistico, come se si trattasse di fare una cretinata quotidiana. Fare la spesa, lavare le stoviglie, consegnare uno zaino di cocaina a non sai chi. Erano tutte cose che durante la giornata potevano succedere, per carità.

Avrei voluto dire a Sbarra di fottersi. Il problema era che aveva una specie di mastino enorme che avrebbe potuto spezzarmi in due solamente con lo sguardo. In realtà, qualcosa in me mi faceva credere che Zucca non fosse una persona necessariamente cattiva. Forse si era trovato in quelle condizioni perché doveva, magari aveva una famiglia che lo aspettava lontano e lui cercava di risolvere i suoi problemi e quelli delle persone che amava.

Stasera stamo de fantasie me sa, però sto zaino mica scompare se me ce 'mpegno.

Non mi aveva dato indicazioni né informazioni su chi dovessi aspettare, perciò ogni persona che vedevo nei paraggi era oggetto di ossessione. La studiavo, cercavo di capirne la camminata, la direzione soprattutto. Non era insolito che mandassero uno di loro verso di me e gli altri si nascondessero dietro lo spigolo dei palazzi pronti ad intervenire in caso di emergenza. Manco a di' fossi na bestia poi.

L'unica cosa di cui mi potevo vantare era di essere un belloccio, ma ero comunque magro e senza troppi muscoli. Non ci voleva per forza Zucca per stendermi a terra.

Dopo mezz'ora cominciai a rompermi letteralmente i cosiddetti di starmene in piedi su un marciapiede ad aspettare i drogati. «Sti lavoretti demmerda se li facesse da solo.»

Sbuffai, poi mi buttai indietro con la schiena appoggiandomi alle sbarre di metallo che recintavano l'abitazione dietro di me. Stavo per lasciare lo zaino lì per terra, senza niente e nessuno. Alla fine era come averlo consegnato, no? Sarei tornato da quel guercio con le mani vuote: cambiavano i mezzi ma... stesso risultato.

Per me era fattibile.

Ero vicinissimo all'applicazione pratica delle mie idee, quando effettivamente lo notai: un uomo veniva verso di me da lontano. Non riuscivo a delineare altro oltre alla sagoma scura che pian piano si faceva più grande nel mio campo visivo. Mi staccai dalle sbarre di metallo e compressi le labbra, in attesa. Avevo lo zaino ancora svogliatamente appeso a due dita.

Il tipo continuava a camminare nella mia direzione a passo deciso, ma assolutamente silenzioso. La sua presenza pareva spettrale: nelle strade vicine — persino nella piazza visibile poco lontana — non c'era anima viva. Mi focalizzai sul mantenere una respirazione regolare, perché farsi vedere agitati da persone come queste non era mai un buon modo per uscirne sereni. Fiutavano la tua paura, il tuo bisogno, la disperazione negli occhi.

Afferrai più saldamente la cocaina.

Si fermò a circa tre metri da me, mi guardò per dieci secondi e poi tirò fuori una sigaretta. Era ben vestito, delle mani curate, una fede all'anulare sinistro. Poveri noi. Era anche sposato.

La legge morale dentro di noi || #SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora