4.½ - storms and healing

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Manuel Ferro's pov.

Simone non ci aveva messo più di dieci minuti a raggiungermi. Mi aveva aiutato ad alzarmi, con la sua voce chiara e rassicurante e il braccio avvolto intorno a me per sostenermi. Poi mi aveva fatto sedere sul suo motorino, mi ero aggrappato a lui ed era partito.

Mi ero sentito un po' in imbarazzo a stringermi così forte a lui come avevo fatto. Il fatto era che avevo paura di cadere e nelle mie condizioni pensavo davvero che sarebbe stato il colpo di grazia: perciò feci congiungere le mie mani sull'addome di Simone e, stanco, appoggiai la testa su di lui mentre mi portava a casa sua.

«Ce la fai?» mi chiese, una volta arrivati. Non voleva alzarsi per paura che crollassi inerme davanti a lui. «Manuel. Se rimani poggiato a me in questo modo non riesco ad alzarmi dalla sella.»

Ma io non volevo smettere di stringerlo. Era l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi per non scoppiare in lacrime, o ad urlare, non lo sapevo neanche io. Ero certo solamente del fatto che non riuscivo a trovare la determinazione nemmeno per salire in camera.

Simone si districò dalla mia presa, poi mi offrì nuovamente il suo aiuto per portarmi dentro. Non riuscivo a rispondergli, ma sentivo che non ce ne fosse alcun bisogno. Strinsi la mano sulla sua spalla per reggermi in modo stabile e mettere un piede davanti all'altro. Era così difficile.

Entrammo. L'odore della casa di Simone era esattamente quello che sentivo sui suoi vestiti, così come anche sulla sua giacca mentre fino a poco prima correvamo per la strada. Era un odore dolce, ma anche molto presente. Uno di quelli che riconoscevi subito, che ti scatenavano inevitabilmente una concatenazione di ricordi piacevoli nella mente.

Simone aveva l'odore di un posto sicuro.

E forse casa sua, almeno per stanotte, lo era.

Mentre lui si dava da fare per mettere a posto le chiavi e la sua giacca, io mi guardai intorno zoppicando su una gamba. Di notte quella casa assumeva un'atmosfera tranquilla, sembrava che il tempo si fermasse. I mobili in penombra riflettevano la luce della luna entrata appena dalle finestre, una ladra onnipresente.

«Simò» provai a dire, ma uscì una parola più simile ad un verso soffocato. «Simò, te prego, damme 'n bicchiere d'acqua per favore... scusa se t'ho disturbato.»

Simone mi fece cenno di abbassare un po' la voce, poi sparì in cucina e sentii il rubinetto aprirsi lievemente per riempire il mio bicchiere. Quando me lo portò, lo bevvi in un secondo e glielo restituii.

«Come ti senti?»

Cazzo Simò, sempre a preoccupà te stai. Ma avrei voluto non smettesse mai. Di preoccuparsi per me, di darmi stabilità, di guardarmi e vedere tutto ciò che un coglione come me non riusciva a vedere in sé stesso.

«Sto bene.» Gli feci un cenno col mento.

Lui annuì, poi andò a mettere a posto il bicchiere e tornò da me.

«Ci sono diverse scale, perciò credo avrai bisogno di me ancora per un po'. Dai, appoggiati.»

Simone il buon samaritano. Io ero un grandissimo bastardo, continuavo ad ignorare le sue emozioni, a sminuirle, mentre lui anche stavolta aveva dato tutto ciò che aveva per farmi stare meglio. Non meritavo una persona come lui.

Mi lasciai aiutare a salire quelle maledette scale, tra un gemito e l'altro perché ogni sforzo che facevo irradiava fitte di dolore in parti sparse del corpo.

«M'hanno gonfiato per bene...»

«È tutto passato adesso. Ti riposerai, e domattina non andremo a scuola. Pensa solamente a te stesso adesso, e a stare meglio.»

Il problema era proprio quello, io pensavo fin troppo a me stesso. Ero stato capace di trattarlo di merda dopo il bacio al museo, perché mi aveva scioccato, ma lui si era comportato quasi come lo sbaglio fosse stato suo. Insomma... apprezzavo l'intraprendenza, se l'oggetto di interesse fosse stata una ragazza sarei stato il primo a dirgli di provarci. Però io non ero una ragazza.

Finite le scale della morte, il piano di sopra aveva un corridoio con alcune porte sulle pareti. Una era aperta ed era la stanza di Simone, ci ero già stato un paio di volte quando mi aveva invitato a rimanere a dormire a casa sua per una questione di comodità. Mi portavo lo zaino con il cambio dei vestiti e il giorno dopo andavamo a scuola insieme.

Entrammo in camera sua e lui si adoperò per farmi spazio nel suo letto. Sistemò le coperte e mise via dei panni che c'erano poggiati sopra per pigrizia. Allora non è sempre un perfettone.

«Scusa il disordine... non ho avuto il tempo di riordinare» si giustificò.

«Ma l'hai vista mai la stalla che è camera mia?» risposi accennando una risata. Madonna, quante paranoie si faceva 'sto ragazzo.

Scoppiò a ridere mentre continuava ad aggiustare tutto quanto. Mi avvicinai a lui.

«Sì e non avrei mai voluto» disse. Fece una pausa. «Ecco qua, tu dormi nel mio letto.»

«Scusa Simò, e tu do' te metti, a terra?»

«Non ti preoccupare per me, intanto sdraiati.»

«Vabbè... se lo dici te.» E feci per togliermi la maglietta.

Per un secondo avevo dimenticato che l'azione avrebbe potuto causarmi il dolore demoniaco che mi investì appena ci provai. Simone si girò a guardarmi nel momento in cui il mio respiro si fece forzatamente scandito per mascherare la mia difficoltà. Senza dire niente, mi fece alzare le braccia lentamente e sollevò la maglia dalla vita fino a sfilarmela dalla testa.

«Cristo santo» esclamò. «Sei pieno di lividi...»

«Qualche giorno e me passano, mo vedi» risposi io, anche per rassicurarlo. Non volevo ne facesse troppo un dramma.

Mi guardò fisso negli occhi. «Prima hai detto una cosa che mi ha lasciato con l'amaro in bocca. Non provare più a pensare di disturbarmi, non mi hai disturbato. Hai fatto bene a chiamarmi.»

I suoi occhi continuavano a percorrere i miei lividi, fino a quando decisi che era abbastanza. Mi sedetti sul materasso e mi infilai piano piano sotto le coperte, cercando di non fare movimenti bruschi.

Poi vidi Simone prendere un materasso finissimo dall'armadio e posarlo per terra a fianco al letto sul quale ero io. Ci buttò una coperta sopra.

«Scusa Simò, me stai a dì che t'addormenti sopra a sto schifo?»

«Beh, in che senso "sto schifo"... è un materasso. Mi metto vicino a te, se hai bisogno di qualc-»

«Ma per favore» lo interruppi. «Certo che sei tutto strano te eh, ma come ragioni... vie' qua vicino a me.» Mi spostai per lasciargli spazio nel letto.

«Là con te...? Sei sicuro?»

«Me voi stuprà? Non penso.»

Simone ammutolì. Si tolse anche lui la maglia, spense la luce e venne verso di me. Si infilò nel letto, poi si girò di schiena. Mi fermai un attimo a notare i suoi riccioli neri. Quasi erano più belli dei miei.

«Stai comodo sì?» gli chiesi.

«Sto perfettamente, ma adesso addormentati.»

«Vabbè oh, calmate però.»

Mi misi giù e tirai su la coperta per avvolgere entrambi. Da allungato, mi resi conto che eravamo veramente vicini e la mia pelle ormai violacea toccava inevitabilmente la sua schiena. Ero scomodissimo, ma non potevo dirglielo. Non sapevo dove infilare quel maledetto braccio, perciò lo feci scivolare su di lui, abbracciandolo da dietro.

Si irrigidì. Soffocai un ghigno divertito.

«T'ho detto calmate Simò» bisbigliai.

«E io t'ho detto di dormire.»

La legge morale dentro di noi || #SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora