5. - the fear and her nails

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Manuel Ferro's pov.

Stavo camminando a passo deciso verso il cancello di quello schifo di sfascio. Anche da fuori, la puzza che caratterizzava il posto mi raggiungeva violenta ed irriverente. Si innalzava un fumo dentro la recinzione che contornava lo spazio dove Sbarra buttava tutte quelle macchine senza più alcun senso.

Un passo dopo l'altro. Sentivo il cuore a mille, ma anche la testa esplodermi per i pensieri pesanti che mi opprimevano: ero incazzato, mi sentivo tradito, abbandonato nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto fare di me ciò che avesse voluto.

Andai oltre il cancello e mi diressi verso la baracca da poveracci dove solo gente come il guercio poteva lavorare in maniera così serena. Zucca era lontano, perciò ero sicuro di incontrare solamente l'altro dannato dentro il suo "ufficio".

Spalancai la porta già mezza spaccata.

«Sbarra!» dissi a voce alta. Lo vidi davanti a me, seduto sulla sedia alla scrivania, che dormiva. «Sbarra! O come cazzo te chiamavano i tuoi quando eri ancora 'n essere umano.»

Imperturbabile. Sentii i nervi a fior di pelle. Presi un foglio di carta che stava storto sulla scrivania, lo accartocciai e glielo gettai addosso.

«Ma te voi sveglià?»

I suoi occhi si sollevarono piano, quasi a mostrare l'immensa pazienza che quest'intero mondo potesse concedere. Il suo atteggiamento calmo mi mandava ancora più in crisi, credeva di essermi superiore. Di potermi comandare, domare. Costringermi a subire i suoi comportamenti da stronzo.

«Mo damme 'n motivo pe n'ammazzatte qua seduta stante» replicò con tono monocorde.

«Non m'avevi detto che m'avrebbero scassato de botte! Quelli m'hanno gonfiato come se deve.» Strinsi i pugni dalla rabbia e percepii le unghie che mi tagliavano il palmo della mano. Feci un passo verso quella faccia di merda.

«E per quale motivo mo te stai ad agità tanto?»

«Io per te non faccio più niente» sbraitai. Lo sguardo fisso nei suoi occhi. «I soldi me li guadagno andando a fare il cameriere, che ne so, me vado a prostituì piuttosto.»

Lui mise le mani sulla scrivania e poi le congiunse, portandole sotto le narici. Se avessi scattato una foto in quel momento, sarebbe sembrato che Sbarra stesse pregando.

«Allora perché stai qua a rompere le scatole a me? Sei venuto pe damme na strigliata? Pe famme capì che sto a perde?» fece una pausa. «Perché se le cose stanno in sto modo qua, sappi che c'hai trenta secondi prima che te faccio aprì sta testa che te ritrovi.»

«Io per te non esisto più.»

«Nun sei mai esistito per me, fatte na vita. Ma devi sapè pure na cosa... de me nce se libera così facilmente.»

Uscii fuori da quella baracca e sbattei la porta dietro di me, che poi si riaprì e tornò cigolante a chiudersi, sofferente come una specie di ala lussata. Zucca da lontano mi vide andare via e mi chiamò. Non avevo intenzione di girarmi o con la foga che mi sentivo addosso avrei potuto atterrare con un sinistro persino lui. Non mi chiamò mica una sola volta, ma molte di più. Quasi fino a farmi sbraitare ancora di più.

Una volta oltre il cancello, salii sulla moto e la accesi. Guardai per un'ultima volta oltre quella recinzione di ferraglia buttata e mi chiesi cosa diavolo mi aspettassi di trovare in un uomo come Sbarra. Non capivo perché dentro me ci fosse così tanta delusione, tanto tradimento. Mi sentivo profondamente ferito, ma forse era per la situazione intera.

Feci manovra e accelerai. Neanche guardai la strada.

Dovevo ammettere che già qualche giorno dopo i lividi facevano meno male, il colore si schiariva e anche sulla pancia non vedevo più quelle macchie viola che sembravano quasi galassie disegnate.

La legge morale dentro di noi || #SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora