[Sette]

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                                     Simone

- Che de notte non ce dormo perché penso a te, Simò.

Fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida direttamente sulla testa.
Il primo pensiero che mi venne in mente era che stesse scherzando, non poteva essere altrimenti.

- Stai scherzando, vero?
- Te pare la faccia di uno che sta a scherzà?
- Manuel, ti prego. Dimmi che è uno scherzo.

Gli andai incontro, i nostri visi a pochi centimetri. Volevo studiare la sua espressione, i suoi occhi. Dovevo capire se mi stesse prendendo per il culo.
Ma lui era inerme, le braccia lungo i fianchi, le spalle contratte.
Era nervoso e non stava mentendo.

- È la verità, mai stato più serio.
- E tu ora me lo dici? - chiesi, alzando la voce.

Era intimidito. E questa cosa mi mandava in bestia.
Com'era possibile una cosa del genere?
Ero andato a chilometri e chilometri di distanza per potermi disintossicare, per poter stare bene con lui senza desiderarlo.
E adesso mi veniva a dire che mi pensava?
Ma con quale coraggio, poi?
Sapeva come ci ero stato. Non ne avevamo mai parlato chiaramente, ma lui lo sapeva.
Non poteva farmi questo proprio adesso.

- Senti, lo so che può sembrà strano. Ma sta succedendo e io sò pure impreparato. Non so che dirti.
- Eravamo lì fuori quando mi hai detto che non ti piacevano i maschi.
- Però me pare di averti detto anche che con te era diverso, no?

I suoi occhi mi infilzarono.
Potei sentire il cuore scomporsi fino a non farci restare niente.
Forse avevo smesso di respirare, non riuscivo a raccogliere ossigeno.
Annaspai in cerca d'aria, probabilmente era un attacco d'ansia. Non mi era mai successo prima.
Manuel se ne accorse, mi prese per i polsi e mi spinse delicatamente verso il lavandino.

- Oh, Simo. Tutto bene? Che te succede? Sei bianco come le piastrelle.

Mi posò una mano sulla guancia.
Il suo tocco freddo, a contatto con la mia pelle accaldata e sudaticcia, mi fece provare sollievo.
Ci avevo messo così tanto a coprire i miei sentimenti per lui. Li avevo raccolti e riposti in una ipotetica stanza in soffitta, nascosta nella mia mente.
Adesso mi sentivo confuso.
Avevo una persona che si prendeva cura di me, stavo finalmente bene. Qualcuno mi amava per quello che ero.
Non poteva uscirsene così e destabilizzare tutto.

- Me sto a preoccupà, me voi dì qualcosa?
- Non ci sto.
- Che?
- Non ci sto, Manuel. È facile così, no? Magicamente, adesso, ti si è risvegliato qualcosa. Perché?
- Ma non c'è un perché, Simó. Non lo so neanche io.
- Sono tutte cazzate. Vuoi forse allontanarmi da Francesco? Sono un trofeo, per te? Ti piacevano le mie attenzioni, cosa?
- Calmate, ce staranno a sentí, là fuori.
- Beh? Ti vergogni che qualcuno sappia che provi qualcosa per un altro come te?
- No...
- No?

Lo vidi esitare.
Non era cambiato per niente, chissà cosa gli stava frullando in quella testa per venire a dirmi queste cose. Chissà che cosa volesse ottenere.
Forse si sentiva solo, voleva avermi disponibile a rincorrerlo insieme a tutti i suoi problemi ogni volta che gli faceva comodo.
Perché questo ero stato, in fondo, no?

Mi scostai e lo sorpassai.
Dovevo andarmene. Dovevo pensare.
Avevo bisogno di stare da solo.

- Dove vai?
- Lasciami in pace.

Mi voltai prima di oltrepassare la porta, lo guardai impassibile.
- E fai pace con il cervello.
Ma dentro di me, stavo morendo.

La sua metà mancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora