Simone Balestra's pov.
La fine.
La fine di qualcosa.
La fine di qualcosa?
Un anno, un giorno, un momento. Uno sguardo, un amore, una relazione. Un film, un libro, un tramonto.
Una cosa tutte queste hanno in comune: l'inizio di qualcos'altro. Se avevo imparato qualcosa durante la mia vita non tanto lunga ancora era che le cose che finivano erano davvero tante. Molte volte non te ne accorgi: sei lì che respiri, magari in un bagno caldo, e non ti rendi conto che la candela ha consumato tutta la sua cera. Improvvisamente cala il buio, in silenzio. Quando esci dalla vasca, l'acqua ancora sulla pelle a contatto con l'aria ti fa sentire freddo.
E allora li provi quei brividi.
I brividi di qualcosa che è finito, di un freddo che promette la speranza di riavere qualcosa con cui scaldarsi. Ancora un po', un istante, un'ultima volta.
Avevo sempre avuto difficoltà con la fine delle cose: questo forse perché non sapevo mai iniziarle per bene, pertanto non potevano terminare meglio; o forse a motivo del fatto che la principale matrice della mia ricerca nella vita fosse la stabilità.
Avevo paura di tutti quei momenti in cui non mi sentivo stabile, come fossi su una trave in bilico su un barile e cercassi di mantenere l'equilibrio. Però nessuno me l'aveva insegnato e io non sapevo se fossi capace di darmi da solo questa capacità. Sentivo le gambe tremare, il mio peso aumentare sotto la forza del timore.
Anche per questo avevo paura di aprirmi troppo, e ancora una volta, con Manuel Ferro. Per me era la fine e l'inizio, ma non sapevo neanche di cosa.
Per diversi giorni non si era fatto sentire, io lo avevo cercato ma da parte sua ricevevo risposte perennemente fredde con l'intenzione di spegnere la conversazione. Non sapevo cosa gli avessi fatto in particolare, ma con il tempo avevo imparato ad abituarmi.
La reazione di Manuel era dovuta all'imbarazzo. Imbarazzo per tutto ciò che era successo tra noi, forse per qualcosa che sentiva dentro di sé ma non riusciva ad ammettersi. Tutto ciò mi faceva venire rabbia, perché avremmo dovuto privarci di momenti significativi i quali avremmo ricordato per tutta la vita solamente perché lui non ce la faceva a guardarsi allo specchio e dirsi "provo qualcosa". Ammesso che lo provasse poi...
Ad ogni modo, il suo garage aveva due grandissime porte di metallo. Una delle due era socchiusa e ne veniva fuori lo sferragliare degli attrezzi che stava usando in quel momento. Fermai il motorino poco più indietro, quasi cercando di non invadere uno spazio circoscritto. Come se il mio scooter e quel garage fossero due persone impacciate, che si guardano e comunicano da lontano senza avvicinarsi troppo perché la confidenza era qualcosa di prezioso e che non riuscivano a darsi senza tremare un poco alla stretta di mano.
Scesi dalla sella e camminai ciondolando verso la costruzione dove al suo interno avrei visto il suo volto, il corpo vestito dalla tuta sporca che metteva ogni volta. Quando vi fui vicino, le mie dita si poggiarono sullo stipite dell'enorme anta di metallo e la tirarono leggermente.
Manuel era metà corpo sotto un'auto rialzata, la schiena poggiata su una tavola a rotelle che gli permetteva di andare oltre o tornar fuori. Rimasi in silenzio, forse neanche si era accorto che ero arrivato e quel momento, per lui, era ancora un momento passato in compagnia di sé stesso soltanto.
Le gambe erano piegate con le ginocchia in su, i piedi ben piantati a terra. Poi dalla vita in su, spariva sotto la macchina con le braccia che si muovevano per aggiustare dio solo sapeva cosa.
Mi voltai verso il metallo e vi battei un pugno un paio di volte. Invece di un toc-toc, si udì un bong-bong che si sentì più del previsto a causa del suono che vibrò per tutta la superficie. Le gambe di Manuel si contrassero, sintomo del fatto che fino a quel momento non aveva percepito la mia presenza.
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La legge morale dentro di noi || #Simuel
Fanfiction«Non sta succedendo» mormorò. «Succederà tutto ciò che vogliamo che succeda, niente di più» risposi io. || ff about simuel ship. ||