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E così, mentre guardai mia sorella andare via mano nella mano con lui, pensai:
"Quando toccherà a me?"
Tornai nella mia camera. Mi allungai sopra il letto e con le cuffie nelle orecchie sprofondai.
La musica era assordante e fastidiosa, ma poco mi importava. Non volevo sentire nessuno, solo il rumore dei miei singhiozzi che solo io riuscivo a sentire.
I miei genitori poco dopo arrivarono dicendomi che sarebbero usciti, e mia madre mi baciò la guancia rassicurandomi che sarebbero tornati presto...
E finalmente rimasi sola.
Non ebbi la preoccupazione di farmi sentire da qualcuno, perché tanto non c'era qualcuno ad ascoltarmi.
E mentre la musica scorreva, io ero lì a riflettere.
"Su cosa?"
Su tutto.
Quella sera avrei avuto la cena con la mia famiglia paterna: ovviamente mia sorella non sarebbe venuta, figuriamoci i miei cugini.
Solo la mia piccola cuginetta di tre anni sarebbe venuta, a cui però io avrei dovuto badare.
Ero già pronta a tutto: le lamentele di mia nonna, le finte chiacchierate di mia zia e soprattutto fingere di stare bene lì in mezzo.
E il tempo passò, ritrovandomi davanti ai miei parenti mentre scherzavano, chiacchieravano oppure guardavano video su dei cagnolini che solo mia zia facevano innamorare.
Io però ero in tutt'altro mondo.
Ero lì fisicamente, ma mentalmente no.
Fissavo il posto in cui era seduto mio padre con malinconia. Ricordai benissimo di chi fosse quel posto.
Era di mio nonno.
L'unica persona che mi faceva stare bene in quella famiglia.
Osservai mio padre immaginando se lui fosse stato lì.
Mio padre aveva le stesse spalle di mio nonno larghe e magre. Portavano maglioni con sotto delle camicie o blu o grigie.
I lineamenti del viso però erano diversi, mio padre li aveva leggermente larghi mentre mio nonno li aveva più stretti. Poi però per il resto erano uguali, sopratutto per lo sguardo.
Quando mio padre ogni tanto si girava per vedere la televisione e incrociava i miei occhi che erano castani come i miei, mi sembrava come se i suoi occhi grigi fossero lì presenti.
I suoi erano unici.
Facevano li stessi movimenti, gesticolavano da veri italiani e quando vedevano che ero da tutt'altra parte con la testa mi chiamavano facendomi un cenno di mano, segno che stava a significare di andare da loro.
E in quel momento i miei ricordi tornarono a galla...
Una bambina poco più alta del tavolo era lì insieme a un anziano signore, che la guardava mentre le raccontava qualche storiella inventata.
Cercò di dirle qualcosa che le avrebbe tolto i suoi pensieri, e ci riuscì.
Nei suoi occhi nocciola brillavano luci del salotto e nei suoi denti uscivano emozioni talmente forti che il massimo che dovette fare per non piangere, era sorridere il più forte possibile.
Era lui il suo principe azzurro.
Non perché l'aveva amata e onorata ogni giorno, ma perché quando lei si trovò sopra la torre rinchiusa nelle sue emozioni, lui le aprí l'ingresso e la liberò.

ange scrive cose...Where stories live. Discover now