Il vento solleticava le mie braccia, mentre brividi spontanei le abbellivano timidi. La luna baciava morbida i miei lineamenti, mentre con la mano destra scioglievo i capelli dall'acconciatura, anche lei esausta dalla giornata. Il mio cervello sembrava non darmi tregua, il cuore altrettanto: un turbinio di pensieri mi assalivano e cercavo di immaginare quella notte come infinita, perché sapevo che la mattina seguente quella bolla in cui Harry mi stava portando sarebbe esplosa, e anche ferocemente.
La me più timida, quella meno forte, provava dei sensi di colpa: non nei confronti di David, quanto piuttosto per Gwen e forse anche un po' per mia madre. Non avrei voluto mettere tutto alla mercè del matrimonio, né era mia intenzione monopolizzarlo e di questo mi pentivo; ma poi cercavo di razionalizzare, analizzare e riavvolgere il nastro e mi rendevo conto che era inevitabile, che il tempo mi aveva dato quei secondi in più, ma che il momento fosse dietro l'angolo da troppo.
Avrei tanto voluto poter dire che quel confronto mi avesse spianato la strada, che mi sentissi diversa, ma non fui ipocrita: sapevo perfettamente quanto le paure, la rabbia e le insicurezze che David mi aveva provocato non sarebbero andate via, forse mai; ciò nonostante riuscivo ad intravedere fiducia nel mio cuore, una consapevolezza di me più forte del timore.
Mi ridestai leggermente quando la mano di Harry si appoggiò sulla mia coscia, fasciata dall'abito, solleticandomi appena con il pollice, delicato e quasi timido. Abbassai lo sguardo alla sua mano, poi appoggiai la testa allo schienale, voltandomi appena a guardarlo. Solo quando vidi la sua mano avvicinarsi all'apertura della porta capii che ci fossimo fermati, ma non riconobbi nessun posto familiare.
"Dove siamo?" chiesi, guardandomi attorno. Sentivo il rumore nitido del mare, e pensai fossimo a New Port, ma il posto continuava a non dirmi nulla.
"Ho pensato che ti servisse un po' d'aria, dopo torniamo a casa" disse sincero, guardandomi negli occhi. I suoi così belli, limpidi e che fingevano serenità per darla un po' a me "ti va?" chiese poi.
Annuii, senza proferire parole, mentre con calma raccolsi il modesto strascico del vestito nel pugno destro e uscii dalla macchina. Non sapevo che ore fossero, il cellullare era stato spento e abbandonato nei sedili posteriori da tempo, ma il silenzio immobile intorno a noi e la luna alta nel cielo indicavano che fosse notte inoltrata. La stanchezza sui nostri volti era evidente, come nei nostri passi quando Harry raccolse la mia mano sinistra e iniziammo a camminare su un piccolo molo. La sua giacca era malamente appoggiata sul suo braccio sinistro e non avevo mancato di notare come poco prima la stesse abbandonando in macchina, per poi vedere le mie spalle scoperte e prenderla con sé; ero poco abituata a guardare certi gesti, ancor peggio a saperli apprezzare, eppure con Harry dovevo farne i conti continuamente, perché era forse uno dei pochi uomini nella mia vita che li facesse senza pretese.
Io così silenziosa non potevo far altro che ubriacarmi di quei gesti così spontanei e gentili, che poche volte prima di allora mi erano stati delicati. Quando si fermò pensai avesse dimenticato qualcosa, ma con la testa mi fece un cenno verso il lato del molo iniziando a levare le scarpe e arrotolare, per quanto poco riuscisse, l'orlo dei pantaloni eleganti. Lo guardai affascinata, mentre la camicia ricalcava i solchi della sua schiena muscolosa, come un'opera greca: quel tessuto così leggero sembrava morbido marmo, scolpitogli addosso.
Accennai a slacciare il gancio dei miei tacchi, ma le sue mani più veloci mi fermarono, facendolo al mio posto: lo ringraziai con un sorriso e una carezza nella chioma corta, ma disordinata. Quando i tacchi furono dimenticati dietro le nostre spalle, mi porse la mano invitandomi accanto a sé. Il mio mento si appoggiò sulla sua spalla destra, mentre un bacio delicato gli solcò la guancia, seguito da un sospiro. Appoggiai la fronte poi, mentre i piedi, provati dai tacchi, godevano della freschezza del mare.
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CANTHARIDE- [H.S. AU]
Fiksi Penggemar"afrodiṡìaco" , agg. e s. m. [dal gr. ἀϕροδισιακός «sessuale», der. di ᾿Αϕροδίτη «Afrodite», la divinità greca dell'amore, corrispondente a Venere della mitologia romana] (pl. m. -ci). - Che eccita o aumenta il desiderio e il piacere sessuale. Ell...