27° capitolo

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La mia vista si era annebbiata mentre i soccorritori mi pregavano di staccarmi da lei, di permettere che la portassero in ospedale.

Sentivo le lacrime scorrere lungo le mie guance, bagnarmi i vestiti.

Non potevo perderla, era la cosa più bella che mi fosse mai capitata, sarebbe stato come veder morire una parte di me stesso.

Mentre vedevo l'ambulanza allontanarsi, tentavo in tutti i modi di controllarmi, di non piangere, di prendere l'auto e di guidare senza rischi fino all'ospedale.

Non sarei mai riuscito a guidare in quella condizione.

Ma non me ne fregava niente. Corsi nel mio appartamento, asciugandomi le lacrime con la manica della mia felpa. Presi le chiavi dell'auto.

Quando misi in moto trassi un profondo respiro. Non potevo, non dovevo piangere mentre guidavo.


Dieci minuti dopo ero lì, seduto su una sedia in un corridoio d'ospedale attendendo di ricevere notizie di lei, sperando sempre di venderla comparire sorridente e allegra come sempre.

Cercavo in tutti i modi di allontanare dalla mia mente l'immagine dei suoi capelli stesi disordinatamente sull'asfalto. Così belli, lucenti, come sempre.

Guardai fuori dalla finestra. Il cielo era sereno, c'erano le stelle. Non era giusto che mentre lei lottava tra la vita e la morte ci potesse essere anche qualcuno di felice lì fuori, qualcuno che viveva ignaro di quella tragedia.

Mi posai le mani su volto, lasciando che le dita scorressero tra i miei capelli.

Dopo quelle che mi parvero ore vidi un medico uscire. Gli corsi incontro.

Non ricordo cosa mi chiese, so solo che lo implorai di dirmi come stava.

"Lei è un parente?"

"Sono il fidanzato", dissi con un nodo alla gola.

"Dobbiamo aspettare"

"In che senso?" Non capivo come avrei potuto aspettare ancora. Non ce l'avrei fatta. Non ne potevo più.

"Nel senso che abbiamo fatto diversi esami. Solo tra un paio d'ore minimo, quando l'effetto dei medicinali sarà terminato, avremo la conferma del fatto che si risveglierà"

"ma..."

"dica"

"quando si risveglierà..."

"se"

"quando si risveglierà, ci saranno conseguenze?"

"Ha preso brutto colpo alla testa però crediamo di no, se si risveglierà il recupero poi dovrebbe essere abbastanza rapido. Il braccio sinistro è rotto, per il resto è tutto a posto"

Restai in silenzio, cercando di convincermi che non esisteva pericolo, che lei si sarebbe svegliata da un momento all'altro, che avrei sentito la sua voce chiamarmi per nome.

Ritornai a sedermi su quella maledetta sedia, attendendo ulteriori novità.

Circa un'ora dopo sentii dei passi. Quando mi voltai vidi che era Federico.

Non mi disse nulla. Mi abbracciò e basta. Notai che anche lui aveva gli occhi lucidi.

"Hai avvisato i suoi genitori?", chiese lui, dopo qualche minuto di silenzio.

Scossi la testa. Non avevo ancora trovato il coraggio di farlo.

"Tranquillo allora, lo faccio io"

Gli fui grato per questa sua decisione. Non sarei mai riuscito a dirgli che la loro figlia si trovava in un letto d'ospedale, a lottare tra la vita e la morte.

Il tempo passava.

Trascorsero due ore.

Improvvisamente comparve un medico, che si fermò di fronte a me.

"Ci sono netti miglioramenti. Siamo sicuri che al massimo domattina si sveglierà"

A quelle parole per poco non lo abbracciai. Avrei fatto qualsiasi cosa per lui, solamente per avermi detto che la mia ragazza era viva, che avrei potuto ancora vedere il suo volto, il colore dei suoi occhi, avrei ancora potuto sentire la sua voce.

Ora più che mai sapevo che lei era la persona con cui volevo trascorrere tutta la mia vita.


Arrivarono anche i suoi genitori. Erano sconvolti, ma il peggio era passato. Era stato meglio che fosse stato Federico ad avvisarli. La sua voce durante la telefonata era sicuramente risultata calma, a differenza della mia.

Ci fu anche data la possibilità di entrare nella stanza in cui dormiva, uno alla volta.


Ero seduto con la mia mano nella sua. Sentii le sue dita muoversi.

Le sue palpebre si mossero.

Aprì gli occhi.

Era sveglia, era viva.

"Lore..."

"tranquilla, sei in ospedale. Va tutto bene."

"Quei fari..."

"Sei stata investita, ma ora va tutto bene. Ti amo"

Nel dirlo avevo ricominciato a piangere, ma questa volta di gioia.

Davanti a noi c'era una vita insieme, ed ora più che mai capivo quanto fosse preziosa.



Lorenzo Chiesa || la prova che il destino esisteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora