La giornata del pittore

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Lo stare da soli non implica necessariamente essere tristi. E non vuole dire neanche "essere soli".

Il pittore rimaneva da solo per molto del suo tempo. Aveva sì amici e familiari con cui stava di tanto in tanto, ma i momenti che preferiva erano quelli passati da solo. In quel momento stava facendo una delle cose che più gli dava soddisfazione; chino intento ad annaffiare le sue piantine, canticchiava una melodia che, se non ricordava male, l'avevano messa qualche giorno prima alla radio di un bar in cui si era fermato, e da quel giorno gli era entrata in testa senza volerne sapere di uscire. Ma alla fine non gli dispiaceva. Certo, avrebbe preferito venire a conoscenza del titolo di quella canzone, ma l'interesse non era abbastanza da spingerlo a prendere il telefono e cercare su internet il nome della sua ossessione degli ultimi due giorni.

«Melissa! Come siamo verdi oggi»

«Anche tu Vanessa sei bellissima»

«Sandra ti vedo parecchio assetata nell'ultimo periodo»

«Alice stai diventando molto grande. È giunto il momento di cambiarti il vaso»

Aveva dato alle sue piante nomi di donne: grande amante della scultura, era convinto che nella roccia le forme femminili risultassero ancora più aggraziate, e la candida pelle acquisisse maggior lucentezza nel marmo. Aspettava il giorno in cui avrebbe imparato a lavorare la pietra facendo onore ai grandi maestri Bernini e Canova, così da modellare forme tanto belle, e battezzarle con i nomi delle sue piantine. Erano infatti le sue muse, la sua fonte di ispirazione. Ma sfortunatamente per lui, era abile con i carboncini e con l'olio, non con l'argilla.
Perso nei suoi pensieri si girò con l'intenzione di dare l'acqua all'ultima sua musa che attendeva con impazienza di rinfrescarsi. Si bloccò sbalordito e un leggero calore si sparse nel suo petto riempiendolo di felicità «Gaia! Non ti ho mai vista tanto bella come oggi!» la piccola piantina aveva deciso quel giorno di ringraziarlo delle premure che le riservava facendogli dono di quattro piccoli boccioli dai quali si intravedevano i rossi petali che si sarebbero rivelati di lì a qualche giorno.

Dopo aver posato l'annaffiatoio a terra si alzò con l'intenzione di uscire. Prese la bianca borsa di stoffa inserendo al suo interno portafoglio, un piccolo blocco schizzi e un astuccio con dentro solo una gomma e un portamine con le rispettive ricariche. Si infilò scarpe e cappello, uscendo poi di casa.
Chiuse la porta con una delle tante chiavi del mazzo che teneva in mano per poi infilare quest'ultimo in una delle tasche laterali della salopette che indossava. Si diresse successivamente al portone del modesto palazzo in cui viveva lasciando che una ventata di aria frizzante lo rinfrescasse scompigliandogli i capelli.



Camminava tra le vie con fare sognante calpestando i sampietrini che componevano tutte le strade della città. Era affascinato da tutto ciò che lo circondava; ascoltava frammenti di conversazioni tra gli anziani ai bar lasciandosi scappare un sorriso ogni qualvolta che sentiva uscire dalla bocca di uno di questi un'imprecazione molto colorita per aver perso a carte; regalava una carezza ai cani che gli passavano vicino; si spostava per lasciar passare i bambini che si rincorrevano tra di loro o giocavano a palla.
Era bella quella zona della città essendo chiusa al traffico, lasciando passare solo le macchine dei residenti.
Tra una distrazione e l'altra finalmente il pittore arrivò alla sua meta tanto attesa. Entrò nel negozio venendo accompagnato dalla solita campanella che annunciava l'arrivo della clientela.
Girovagò un po' tra gli scaffali fermandosi più volte indeciso se comprare l'effettivo prodotto o no. Si avvicinò infine alla cassa poggiando i materiali presi con cura sul bancone e tirò fuori dalla borsa il portafoglio mettendosi a cercare i soldi per pagare.

«Giovane! Hai proprio la faccia d'artista! Te lo dico io!» fece il commesso  iniziando a controllare il prezzo dei prodotti da lui scelti per riferire poi il totale al ragazzo «Ma dimmi, che genere di quadri fai?»

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