Quando aprii gli occhi, le mie membra erano circondate da acqua. Non riuscivo a scorgere nulla se non il mio corpo sospeso in quell'immensità di colori, i quali sembravano esplodere in mille tonalità diverse: blu, azzurro, smeraldo e nero. Ero come sospesa e completamente ignara del posto in cui mi trovassi, fino a quando, d'improvviso, non mi sentii spingere verso l'alto dalle correnti che serpeggiavano sotto di me. Raggiunsi la superficie.
I raggi del sole attanagliavano il mio corpo con il loro accogliente torpore, mentre la sua luce sbaragliò le ombre dal mio corpo, lasciando le mie nudità prive di ogni velo. Mi guardai intorno, raccogliendo nei miei occhi tutta la bellezza che mi circondava: il cielo ceruleo che tiranneggiava su tutto il creato; la sfera bianca ivi sospesa, che con tanta gentilezza mi aveva accolta e l'immensa distesa di mare che mi circondava. Tutto il mio corpo era esposto, ad eccezione dei miei piedi, celati dalla spuma che si infrangeva contro le mie caviglie.
Nacqui.
<< Oh, guarda lì fratello. Una nereiade! >>
Una brezza improvvisa mi scompigliò i capelli e sentii un leggero calore cingere il mio corpo. Mi voltai, cercando di capire da dove provenisse quel suono, ma ovunque posassi il mio sguardo non vidi nessuno.
<< Stupido! Non è una nereiade, guardala. >>
Questa volta la folata era diversa, più fredda di quella precedente ed un brivido corse lungo la mia schiena. Anche la voce era diversa, più rauca e profonda. Non riuscivo a scorgere niente, ma una cosa era chiara: non ero sola.
<< Chi c'è? Mostratevi a me! >> le mie labbra si schiusero e fu allora che li vidi. L'aria iniziò a vibrare e ad addensarsi in due masse distinte che roteavano su se stesse. L'acqua sotto di me iniziò ad ondeggiare frenetica e mi sentii oppressa da una terribile pressione, come se stessi sorreggendo una colonna sulle mie spalle. Erano due fanciulli dall'aspetto efebico. Sembravano frutto dello stesso seme, data la loro somiglianza, ma una cosa contraddistingueva i loro corpi immateriali: gli occhi. Il primo, aveva uno sguardo intenso e rovente, mentre il secondo glaciale ed impassibile.
<< Io sono Noto, il vento del Sud e questo è mio fratello Borea, il vento del Nord. Noi siamo gli anemoi, figli di Astreo e nipoti di Crio, fratello del possente Crono. Tu piuttosto, fanciulla, chi sei?" al suono della sua voce, così fiera nel proclamare la propria ascendenza, l'acqua iniziò a fumare e l'aria stessa sembrava ardente come un incendio.
<< Sei sempre così focoso, fratello >> Borea puntò gli occhi al cielo.<< Non temere, fanciulla, non vogliamo farti del male. Dimmi, qual è il tuo nome? >>
Il mio nome...
Non avevo la minima idea di chi o cosa fossi, non sapevo nulla. Ero così spaesata, confusa, spaventata. Mi ero risvegliata immersa nell'oceano ed ora dinanzi a me si stagliavano due spiriti del vento che volevano sapere da me più di quanto ne sapessi io stessa. Sforzai di ricordare qualcosa del mio passato ma per quanto mi sforzassi nel cercare di ricordare almeno il mio nome, in me c'era solo l'oscurità, il vuoto.
<< Non ho un nome...m-mi sono appena svegliata qui, in fondo >> indicai con la mano la spuma che continuava a bagnare le mie caviglie, sperando che loro ne sapessero più di me, dato che mi avevano chiamata "naiade". I due guardarono con attenzione il posto che avevo loro indicato, come se lì ci dovesse essere qualcosa in più di una semplice ragazza nuda, poi si voltarono l'uno verso l'altro restando in silenzio per un lasso di tempo che a me parve un'eternità, ma probabilmente non si trattò di più di alcuni secondi. Ad un tratto vidi lo sguardo di Noto posarsi sul mio corpo, scrutandone ogni elemento, fino ai miei più femminili anfratti e fu in quel momento che capii cosa volesse dire essere nuda. Si passò la lingua sulle labbra e sogghignò estasiato.
<< Allora ti chiameremo Callipigia. >>
Al suono di quel nome Borea scoppiò in una sonora risata, il che mi fece sentire leggermente imbarazzata. Non sapevo cosa significasse , ma capii subito che non era qualcosa di positivo, dato che era riuscito a strappare un sorriso anche al volto che fino a poco prima era stato gelido come un ghiacciaio.
<< Vuol dire " dalle belle natiche" e devo dire che mio fratello non ha tutti i torti ragazza! Farebbero ingelosire anche la più bella delle figlie di Oceano.Tuttavia, non penso che un simile complimento sia sufficiente a contenere tutta la tua bellezza>>. Si portò la mano al mento e, guardatosi nuovamente intorno, come se il nome più adatto si potesse solo ricavare da tutta la magnificenza che ci circondava, puntò nuovamente lo sguardo ai miei piedi.
<<Certo! Ti chiameremo Afrodite...colei che è nata dalla spuma del mare.>>
Afrodite. Questo sarebbe stato il mio nome.
I due anemoi mi dissero che c'era qualcuno che avrei dovuto incontrare, per sapere qualcosa in più del mio passato e decisero quindi di sollevarmi sulle loro correnti e trasportarmi lontano dalla distesa di fluido che fino ad allora era stata la mia culla. Fu allora che vidi per la prima volta la terraferma. Mi posarono cautamente sulla sabbia, come se avessero paura di rompermi e mi dissero di aspettare che la creatura si palesasse ai miei occhi. I venti si mescolarono all'aria, fino a quando mi fu impossibile riconoscere le sagome dei loro corpi e mi ritrovai nuovamente da sola. Mi guardai per un attimo intorno, osservando con attenzione ogni forma di vegetazione che si stagliava pochi passi da me: alberi altissimi, forse più di cinquanta metri, caratterizzati da rametti cilindrici cosparsi di foglie strettamente addossate le une alle altre; arbusti di medie dimensioni alle cui estremità sorgevano dei grandi fiori bianchi che crescevano in gruppi e gruppi di piante, i cui fiori presentavano dei petali delicati e caduchi e brillavano di un rosso cremisi macchiato di nero alla base. Tutta quella diversità, tutta quella meraviglia, mi lasciarono senza fiato. Feci un passo, curiosa dei forti odori che impregnavano l'aria, ma quello che accadde in seguito fu qualcosa di incredibile. Non appena la pianta del mio piede toccò i granuli che tingevano la terra di un incontaminato ocra, la terra fiorì. Dove prima non c'erano altro che frammenti di minerali e rocce, ora spuntavano anemoni, i fiori del vento, le cui corolle ondeggiavano anche al soffio della brezza più leggera simulando il volo di migliaia di farfalle; ranuncoli splendenti come bottoni d'oro ed orchidee dalla struttura alata. Mi ritrovai, così, immersa in una tavolozza di colori variopinti, le cui sfumature davano vita a tonalità di cui anche lo stesso oceano era privo. Non riuscivo a credere di essere stata io l'artefice di un simile prodigio e così mi chinai a raccogliere uno dei tanti frutti del mio operato, così da avere la prova che non si trattasse di un'allucinazione. I miei sensi non mi ingannarono: avevo davvero colmato di vita quella landa desolata. Restai per un po' ad ammirare il potere mio tocco, quando la mia attenzione fu attratta da alcune voci che sibilavano non lontano da me.
Non saranno di nuovo quei due, pensai, e decisi di rivolgermi verso la fonte di quel suono.
Celata nell'ombra da un tronco nodoso, avvolto completamente, come da un abito da festa, in dei fiori color rosa e paonazzo del rhododendron, mi resi conto che quei suoni provenivano da un gruppo di ragazze, tre, per la precisione, che sollazzavano sul bagnasciuga. Il loro corpo non era nudo come il mio, ma cinto fino alle caviglie da un lungo peplo, che sembrava rifulgere come le stelle affisse sulla volta celeste, aperto sul lato destro è fermato su una delle due spalle da una fibula dorata. I loro seni era sorretti da un'ampia fascia, la quale aveva anche la funzione di celare lo spacco della veste, mentre la nudità della schiena era coperta da un himation dalle decorazioni floreali. Le loro chiome variopinte erano aggrovigliate ad un tessuto leggero, dalla forma triangolare, che cadeva verso il basso ed alla cui sommità sorgeva un pòlos dalla forma cilindrica.
<< Vieni avanti, figlia di Urano! >> proferì una delle tre.
Urano?
Frugai nei meandri più reconditi della mia mente al fine di riconoscere quel nome, il nome di colui che insinuavano essere mio padre, ma il suo aspetto non si rivelò a nessuno dei miei sforzi. Non c'era nessuno presente alla mia genesi, nessuno che avesse teso le braccia, che mi avesse stretta in un abbraccio...che non mi avesse fatta sentire abbandonata. Non avevo un padre, non potevo averlo, perché chi mai abbandonerebbe il proprio seme in balia del mare e dei venti. Tuttavia, ero desiderosa di scoprire l'uscita del labirinto contorto della mia mente e decisi di acconsentire alla loro esortazione. Mi coprii con le braccia. Un gesto, questo, che non dovrebbe mai appartenere ad una donna, ma avevo già provato la sensazione di disagio nel vedere come la mia pelle scoperta potesse far nascere il desiderio e di come mi fossi sentita nel notare lo sguardo di Noto posarsi su di me, e non volevo che questo ricapitasse.
<< S-scusatemi, non volevo interrompere i vostri discorsi. I venti mi hanno portata qui. >>
<< Non temere, progenie del cielo, sappiamo già tutto. >> dissero all'unisono, dandomi subito l'impressione che dietro quelle candide vesti e quelle chiome variopinte, si celasse un immenso potere.
<< Voi chi siete, se posso chiedere? >> proseguii con cautela, temendo che anche loro potessero arroventare l'aria con un solo soffio di fiato o, al contrario, gelarla all'istante.
<< Noi siamo le Ore, figlie del grande Zeus e della irremovibile Temi, tua sorella maggiore>>
Sorella? Allora anche io avevo una famiglia...
<<Il mio nome è Irene e queste sono le mie due sorelle Eunomia e Dike>> concluse colei che tra le altre aveva preso per prima la parola.
Avevo la testa che stava per scoppiarmi. Le domande continuavano a perseguitarmi in cerca di risposte che le sfuggivano come lepri inseguite da una vorace serpe. Ero confusa e spaesata. Mi ritrovavo su una terra a me sconosciuta, in compagnie di tre donne che sembravano conoscermi come il palmo delle loro mani ed avevo appena appreso di essere stata abbandonata dalla mia famiglia, della quale ancora non sapevo nulla. Desiderai di tornare ad immergermi nelle acque da cui ero stata creata e di giacere lì per il resto della mia vita, circondata solo dall'enorme silenzio che ivi regnava incontrastato ed imperturbabile. Mi accasciai e scoppiai a piangere, fino a quando i sensi non abbandonarono il mio corpo. L'ultima cosa che sentii era il mio nome sulle labbra delle tre dee che corsero in mio soccorso: Afrodite.
Riaprii gli occhi.
<< Guardate ai suoi piedi!>> Dike indicò alle due sorelle la mia sagoma ancora supina.
<< Non ci posso credere.>> replicò Eunomia sbalordita da ciò che i suoi occhi stavano ammirando in quel momento. Non capii a cosa si stessero riferendo fino a quando non voltai lo sguardo in direzione della mia spalla. Migliaia di fiori avevano impedito al mio corpo di riportare una qualsivoglia ferita che avrebbe potuto deturpare la mia pelle. La loro corolla racchiudeva nei petali tutte le possibili varietà di rosso, dal porpora al carminio ed emanavano un odore così estasiante e penetrante da invitarti a coglierli per la bramosia di averli come ornamento delle vesti o dei capelli. Ma il loro aspetto nascondeva un retroscena letale: i loro steli, verdi come le foglie viste sugli alberi che affollavano l'entroterra, erano armati di spine, pungenti, come gli aculei di uno scorpione.
<<Stai attenta!>> urlò Irene, temendo che il mio stesso creato potesse provocarmi dei danni, ma così non fu. Quando poggiai le mani al suolo, così da rialzarmi, le spine si ritrassero nello stelo che fungeva loro da supporto e quando mi ritrovai in piedi, il mio corpo era idilliaco come era stato fino a quel momento.
<<Stai bene Urania? Ci hai fatte temere il peggio.>> ripresero in coro le Ore.
<< Sto bene, credo. Vi prego di aiutarmi, sono così confusa. Chi sono io? Da dove vengo? Ho bisogno di risposte. >> guardai le donne dritte negli occhi, speranzosa che accogliessero le mie richieste e che, finalmente, potessero aiutarmi a districare i fili contorti della mia esistenza.
<< Oh, bambina, ti daremo tutte le risposte che il tuo cuora agogna! Ma prima lascia che la tua nudità venga celata alla vista di ogni essere, che tanto bella ma altrettanto minacciosa appare; esattamente come questi vegetali da te poc'anzi fioriti.>>
Così dissero e dal mare trassero fuori una veste elegante, drappeggiata, simile alla loro, che mi copriva sino alle caviglie e al cui interno vi era un festevole avvicendarsi di luci e colori che richiamavano le sfumature delle acque che mi avevano fatto dono della vita. Dalla terra dorata modellarono una collana d'oro, ben lavorata, affinché mi avvolgesse il collo delicato ed illuminasse il mio bianchissimo petto e fiori d'oricalco da appendere ai miei lobi forati. Infine dal cielo, che loro dicevano essere il mio progenitore, estrassero un diadema più lucente dello stesso sole, la cui forma ricordava quella del fiore che aveva attutito poco prima il mio impatto col suolo e lo intersecarono con i miei capelli rossi come il rame.
<< Che questo fiore possa sempre vegliare su di te, oh Afrodite Urania, e che possa a te medesima essere consacrato come incarnazione della bellezza di cui sei detentrice!>>
Questo proclamarono le tre sorelle e fu da allora che la rosa dal passionale aroma mi fu per sempre accompagnatrice.
STAI LEGGENDO
L'ULTIMA TITANA
FantasyAfrodite. Dea della propulsione amorosa, della bellezza, dell'erotismo, ma, soprattutto, una donna in un mondo tiranneggiato da uomini. Molti sono gli inni ad essa dedicati e molti gli amanti morti in suo nome. Ma chi è davvero la Venere raffigurata...