ATTO I - L'incubo americano

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Un'idea, un chiodo fisso, un pensiero, scoprire cosa c'è dietro ad un pensiero. La superficie non mi bastava più, volevo scavare in profondità, trascendere la percezione della realtà o la concezione di giusto e sbagliato. Ecco, vedo una nube, cerco di attraversarla. Sembrava così piccola vista da lontano, eppure ora che ci sono dentro mi sembra infinita. Mi chiedo se riuscirò mai ad oltrepassarla. Intanto, vengo accarezzato da una miriade di gocce d'acqua, mentre tutto intorno a me è grigio. Ogni goccia rappresenta un pensiero, riesco a sentirli. Un'infinità di pensieri, voci, lamenti. Non sono io. Sto volando senza ali, sto immaginando senza pensieri, sono bagnato, ho freddo, ho paura. Mi perdo in un bosco, vedo degli animali, vedo dei bambini dai volti tristi dondolare allegramente su delle altalene, mi arrampico sull'albero più alto del mondo, in mezzo ad un giardino fiorito che risplende sotto di me, infinito. Un ramo si spezza. Cado.

Capitolo 1 - Subway

Ero seduto su una panca, in un vagone della metropolitana di New York. Mi svegliai dopo essermi appisolato per un minuto o poco più.

Mi guardai attorno. Mi trovavo all'incirca a metà della carrozza, accanto ad uno degli ingressi, rivolto verso il corridoio. Alla mia sinistra, qualche posto più in là, c'era un'anziana con un libro in mano, di fronte a lei una coppia di giovani che si tenevano per mano, sorridevano e conversavano allegramente. Non capivo cosa stessero dicendo, erano troppo distanti e il treno produceva un forte rumore di fondo che copriva la maggior parte dei suoni all'interno. A giudicare dagli zaini, dall'età e dall'abbigliamento dedussi che erano studenti universitari. Accanto a loro c'era un altro ragazzo, anche lui aveva l'aria di essere uno studente, un pendolare probabilmente che, come la coppietta, stava tornando a casa. Mi resi conto all'improvviso di non avere la minima idea di che giorno fosse.

Sapevo solo di dover scendere dal treno non appena si fosse fermato. Mi sentivo strano, sapevo di essere lì per un motivo, solo non riuscivo a ricordare quale fosse. I miei pensieri vennero interrotti bruscamente dal sibilo dei freni e successivamente dalla spinta gravitazionale che andò progressivamente crescendo a mano a mano che il treno rallentava la sua corsa.

Il treno si fermò completamente, le porte si aprirono e io scesi, così come sapevo di dover fare.

Il battello giunse al porto. I passeggeri sbarcarono e lui era tra questi, si confondeva tra la folla.

Per un attimo pensai di trovarmi in una realtà virtuale, di essere una cavia di una specie di test da laboratorio. Oppure ero stato rapito dagli alieni? Controllai scrupolosamente cosa avessi addosso. La mia Beretta nella fondina sotto la giaccia di pelle fu la prima cosa che notai, impossibile non percepire il suo peso. Eppure me n'ero quasi dimenticato, mi sembrava di non averla notata affatto fino a quel momento. Uno scherzo della mia mente.

La gente cominciò a fissarmi per cui decisi che era arrivato il momento di muovermi ed incamminarmi verso l'uscita, stavo dando troppo nell'occhio e la cosa mi metteva decisamente a disagio. Continuai nel frattempo a frugare nelle tasche, trovai il portafogli con dentro la licenza da investigatore privato, una chiave di un'auto e un foglietto di carta piegato in più pezzi. Lo aprì e vidi che c'era scritto un numero di telefono con una calligrafia che non riconobbi: 555-303175.

Mi guardai attorno in cerca di una cabina telefonica ma venni distratto da varie cose attorno a me, come se mi apparissero del tutto nuove. Dall'abbigliamento delle altre persone agli accessori che utilizzavano, un walkman di un ragazzo che aspettava il prossimo treno, uno stereo portatile a cassette piuttosto potente di un gruppo di giovani di colore, artisti di strada, intenti ad esibirsi in acrobatiche mosse di break dance. Notai poi il cartellone pubblicitario di uno degli ultimi televisori Sony Trinitron, a tubo catodico. Infine mi soffermai sui cartelli pubblicitari delle case automobilistiche. In particolare potei notare la pubblicità di una Cadillac Seville che affermava con fierezza 'Car of the year 1992', facendomi per un attimo riflettere sull'anno in cui mi trovavo. Un piccolo vuoto di memoria, un altro scherzo della mia mente.

Mi avviai infine verso il telefono, il quale si trovava ai piedi di una scalinata che portava in superficie. Presi qualche moneta dalla tasca, le inserii e composi il numero.

«Pronto?» rispose una voce femminile.

«Salve, mi chiamo Jason McGuire, ho trovato il suo...» venni interrotto bruscamente da quella che sembrò una donna sui venti o trent'anni.

«Jason, ce l'hai fatta! Va tutto bene?»

«Credo di si, ma... ci conosciamo?»

«Ok.» rispose lei quasi rassegnata dopo un attimo di incertezza. «Ti spiegherò tutto di persona. Dobbiamo vederci immediatamente.»

«Beh, d'accordo. Dove?»

«Esci dalla metropolitana e continua su quella strada per tre isolati, poi svolta a destra e troverai sullo stesso lato un bar, il 'Broken Mirror'. Non puoi sbagliare. Ci vediamo lì.»

«Aspetta! Come fai a sapere che sono in una metropolitana?»

«Perché eravamo d'accordo che mi avresti chiamato non appena arrivato alla stazione della 79th.»

«Se lo dici tu.... Posso sapere il tuo nome almeno?»

Non rispose, aveva già riagganciato.

«Perfetto.»

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