1 Hans Jonas von Throta

17 5 0
                                    

La sala da pranzo è immersa in un silenzio imperfetto. Si sente la vibrazione di qualcosa che colpisce altro, senza fretta, senza astio. Così per noia. Non è il ticchettio dell'imponente orologio a dondolo che si trova appena sotto il ritratto del prozio Deavon Scoll Von Throta, un valoroso, così tramanda la storia di famiglia, cavaliere che prese parte alla guerra Weissesburg. I miei impegni mi imporrebbero di lasciare perdere la sensazione di andare a vedere con i miei occhi, e impiegare il mio tempo in faccende ben più importanti, ma io odio le stonature. Sono stato cresciuto per rispettare gli impegni, onorare la mia famiglia e il mio popolo, proprio come si addice a un futuro regnante. Anche se l'appuntamento a cui sto andando a presenziare, non è affatto di mio gradimento. Sto per conoscere la mia futura moglie, o colei che si avvicinerà molto a questo compito. Conosco il senso del dovere. È quello che mi fa muovere ogni passo verso la sala da the. Lo conosco perché fin da bambino mi è stato chiesto di rispettarlo. Per la mia posizione. Per il mio status.
Il primo nella gerarchia della casata del regno di Weissesburg, il primo nato. Il fratello maggiore. Anche se l'altro ha solo qualche secondo di distacco. Qualche secondo che ha decretato me campione in una gara alla quale non avrei mai voluto partecipare. Perché se io sono legato mani e piedi ai miei doveri, lui è libero di essere solo un ragazzo di venticinque anni, che forse avrebbe bisogno di mettere un po' di sale in zucca.
«Fritz» non mi aspettavo di trovare la mia burrascosa copia nella penombra della sala. È lui che tamburella con le dita sul tavolo.
Alza i suoi occhi, specchio dei miei. Sono gonfi e arrossati.
«Cosa hai fumato stavolta? Sei messo peggio del solito.» mi avvicino con il disappunto scritto sul viso. Sento incresparsi la fronte e mi viene naturale alzare un sopracciglio e aggrottare l'altro. Dovrei essermi abituato a lui. Anche alla strisciante sensazione di invidia che talvolta provo nei riguardi della sua libertà.
«Nessuno è alla tua altezza, vero, Altezza?»
Sbuffo, esasperato. La conosco la sua arringa di attacco. Dovrei sentirmi offeso, ma so che come io non ho scelto di essere il primo, Fritz non ha potuto decidere di essere il secondo. Come me si è solo adeguato al personaggio. Non lo dice per rancore o per invidia. È uno dei pochi che mi conosce per ciò che sono, che non vede prima la corona e che con tutta onestà mi dirà sempre ciò che pensa. Cosa piuttosto vantaggiosa per chi è circondato solo da personale e non da persone.
«Già, nessuno. Giusto io e la futura regina. Se non hai bisogno che ti riaccompagni in camera o in qualsiasi altro posto dove nessuno, paparazzi inclusi, possa vederti, ho una futura sposa che mi attende.»
Sto per caricarlo in spalla. Non aspetto neppure che risponda, che mi dica che riesce con le sue gambe e tutta la sciolinata.
«La mia camera non è più mia.»
E la presa mi sfugge. Con il risultato che lo lascio schiantarsi sulla sedia.
«Scusami» dico invece di Perché?
«Ti sei fatto male?» invece di Cosa è successo? Io sono cresciuto sapendo sempre cosa dire. Quando. Come.
So parlare a una nazione e tenere una conversazione futile in una sala da the. So di cosa discutere a un tavolo con i politici e come blandire una cortigiana a un ballo.
«Il tuo sguardo è sorpreso. Non lo sapevi?»
Recupero una delle sedie e la avvicino per sedermi accanto a lui. È la prima volta che sento le mie spalle incurvarsi.
«Nostro padre ha deciso di togliermi ogni titolo, ogni potere e tutti i miei averi, per farmi fare lo stalliere. Mi da tempo sei mesi per costruirmi una posizione dal niente. Ed è stato magnanimo, perché ha scelto una delle attività nella quale eccello, l'equitazione.»
«Sei libero» sussurro.
«Sono spacciato!» alza la voce.
«Puoi vedere come vive la gente normale.» un sogno.
«Morirò di stenti, non capisci? E chi ha mai lavorato?»
Io. Tutta la vita. Sacrificio, ubbidienza, disciplina.
«Nostro padre ha trovato il modo per liberarsi per sempre di me. Come potrò salire alle stelle, dalle stalle? È uno dei suoi piani macchiavellici, come farti sposare.»
«In effetti siamo in trappola» chi per un verso, chi per l'altro.
Lo schiarirsi della voce preannuncia un messaggio istituzionale. Infatti Marcus, il maggiordomo di corte si palesa sulla soglia. Faccio appena in tempo a mettermi dritto sulla schiena.
«Principe, la stavo cercando. La Signoria vostra è attesa nella sala da the. La Visconta di Welsye arriverà con qualche minuto di ritardo a causa di un guasto al motore, ma vostra madre vi attende.»
Ringrazio con un cenno.
«Avvisate la regina che sarò da lei nel più breve tempo possibile.»
Sorrido a Fritz e lo invito ad alzarsi.
«E ora dove andiamo?»
«A tagliarti i capelli» esce come l'ordine che è.
«Ma sei pazzo?» oppone resistenza, gesticolando.
«Ascolta bene. Tu non vuoi andartene e io non voglio rimanere. Faremo cambio. Io andrò e tu farai me. Cerca di essere furbo, fratello, perché ciò non significa che sarai libero di essere te stesso, ma vivrai a palazzo e porterai a termine i miei compiti, come se fossi me. Il futuro Re.»
Gli tendo la mano «Affare fatto?»
Ha poco tempo per pensare. Ha poco tempo per obiettare. Una stretta di mano e le nostre vite cambieranno per sempre e per la prima volta, anche se la mia coscienza grida cosa stai facendo decido che il gioco vale la candela. Non posso chiudermi dentro un palazzo, senza mai aver fatto la vita di tutti e pretendere di essere un buon re. Ho uno spiraglio, una scappatoia. Fremo. Sa anche Fritz che la posta in gioco è molto alta.
«La visconta la tieni o la devo fare scappare a gambe levate.»
È un sì?
Mi stringe la mano. È un sì.
«Decidi tu, per me una vale l'altra.»
Faccio spallucce e dentro tremo. L'ho fatto per lui. Non sarebbe sopravvissuto.
Ci scambiamo gli abiti. I ruoli e la vita. Sistemiamo i capelli nello stesso identico modo.
«Chiamami appena ti sarai sistemato» mi abbraccia lasciandomi sulla soglia di casa dove una lussuosa berlina mi aspetta per scaricarmi dove mio padre aveva deciso per lui.
«Principe» lo richiama il maggiordomo di corte.
«Non farmi fare figuracce» ma non è una supplica.
«Neanche tu.» ridacchia.
«Farò del mio meglio.»
Per sei mesi il mondo sarà solo mio e me la sto facendo sotto.

Scacco al Re- royal romanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora