prologo

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«Sei pronta per la partenza?»

Scocco un'occhiata di sbieco a Mark che mi sta sfottendo dal ciglio della porta, con i suoi pantaloni di velluto a zampa e la camicia con i voillan. Verde abete e rosso Valentino per l'occasione. Non a caso siamo sotto il periodo natalizio.
Gli sorrido come se avessi tutto sotto controllo. Lui alza le sopracciglia fini 'davvero?' mi sta dicendo senza parlare. Lo odio perché mi conosce come nessuno al mondo e lo amo per lo stesso motivo. È l'unico con il quale posso, a volte, allentare la presa sul controllo totale che pretendo nella mia vita. 
Scosto lo sguardo, lo lascio vagare nell'ufficio. Le pareti bianche, il legno scuro di parquet e mobilio, poco, giusto la scrivania. Questo posto non potrebbe essere più asettico neppure se fosse una sala chirurgica. Lussuoso, quello non posso negarlo, privo di anima.
Mi isso appoggiandomi alla scrivania, solo per darmi un tono. Il leggero trillo del cellulare mi sta dando un ultimatum, come anche il battere della punta dello stivale di Mark sul pavimento.
No. Non sono pronta.
Il mio armadio è pieno di tailleur alla moda, scarpe con tacchi a spillo e abiti che non sono davvero adatti al ritorno a casa. Ma questo sarebbe il meno.
«Sei sempre il mio segretario...» prendo la borsa con tutta la nonchalance che possiedo e fingo di cercare qualcosa all'interno. La mia sarebbe una minaccia, se Mark non fosse il più grande menefreghista della storia. E io non gli farei mai presente la nostra gerarchia, se non lo conoscessi abbastanza da sapere che la cosa non lo tange. Sono stata al suo posto per anni a fare la gavetta e ho giurato a me stessa che mai sarei diventata perfida come le altre. Lui è cresciuto come me in un paesino di periferia, dove la sua gaytudine ha forgiato il suo animo gentile, facendolo diventare spietato con tutti, tranne che con me. Siamo due cavalieri. Entriamo a lavoro con corazze plasmate a difesa della stronzaggine di altri, pronti alla battaglia per la sopravvivenza e ce ne spogliamo sempre più di rado.
C'è quasi da invidiare le gazzelle e il leone della Savana.

«Per questo lo dico, mi preoccupo per te.» ed è vero. È una delle poche persone che posso chiamare amico nella redazione di Choice. La rivista di moda per la quale lavoro da quando sono atterrata a Manatthan. «So come può essere debilitante il grande ritorno.»

A casa.

Sto per tornare a casa dopo anni per le feste di Natale. È la prima volta che riesco a prendere ferie in questo periodo dell'anno, ed è solo perché ora sono il caporedattore della rivista. Ho sputato sangue per questa sedia, e ora che il trono è mio, invece di sentirmi una regina, mi sembra sempre di essere sul filo del rasoio con un tacco dodici: il funambolo Wallenda mi fa un baffo. 

Sarà Mark e le altre galoppine a lavorare per me, anche se non posso dire di essere serena. Dovrei essere disponibile ventiquattro ore su ventiquattro per chiamate e mail, ma so già come sarà quando atterrerò in Wyoming. I miei genitori sono davvero vecchio stampo e la fattoria è lontana, molto lontana da tutte le comodità della città. Spero solo che la connessione internet che ha attivato JJ possa rendere la mia permanenza meno difficoltosa.

Sospiro. E più un sibilo perché tendo a trattenere le manifestazioni. Lo so fin troppo bene.

Le mani affusolate di Mark si appoggiano sulla mia spalla. È arrivato fino a qui e non me ne sono neppure accorta. È un ragazzo esile e slanciato e un gusto vintage nel vestire che lo rende particolare in questa redazione di stangone scheletriche che indossano capi minimal e senza anima solo per non rischiare un'occhiata storta dalle loro tutor. Ammetto che non mi aspettavo che fosse così il mondo della moda. Lo immaginavo pieno di persone imbottite di ego, di carattere e di buon gusto, invece sembrano tutte fotocopie.
Osservo le mie scarpe. Anche io.

Abbasso appena le spalle. 

«Ci sarà Joshua con te.» Mark sa sempre come tirarmi su il morale.
«Già» sorrido sognante. 
Il mio quasi fidanzato perfetto è l'unica cosa che rende la prospettiva del viaggio meno agghiacciante. Ed è anche il motivo per cui mi sono obbligata a fare le valigie: fargli conoscere la mia famiglia. È un passaggio obbligato se spero di ricevere il famoso anello.
«Quindi puoi lasciare la scrivania, cara» non mi ero accorta di essermi attanagliata a lei «ti terrò aggiornata ventiquattro ore al giorno» mi rincuora.
«il numero di Gennaio poi è già tutto pronto. E perfetto. Cominceremo l'anno con il botto!» mi aiuta a infilare il cappotto.
«Dove l'ha mai vista Choice un caporedattore come te!» mi consegna la borsa «E un assistente come me...» e mi schiocca un bacio stampo sulla guancia.
«Buon Natale, capo.»
Mi trema un labbro. Non voglio andarmene. «Buon Natale, Mark. Non passare le feste chiuso qui dentro.»
Stavolta è lui che mi sorride incerto «C'è Manhattan fuori che mi aspetta.»
Solo che la Grande Mela può essere stregata. Se non hai una buona rete di amicizie, se non sei abbastanza popolare, ci mette poco a farti sentire un moscerino spiaccicato sul cofano di un'auto e da quando lavoriamo assieme ho sempre invitato Mark alle feste di Natale in casa Emilton.
«È solo una settimana.» mi sospinge verso la porta, mentre i miei piedi vorrebbero ancorarsi a terra. Questi tacchi a spillo sono ridicoli se non riesco a perforare la resina del pavimento.
«Andrà tutto bene e passeremo assieme il Capodanno» ormai sono in ascensore. Schiaccia il bottone per il piano terra, mi frulla le dita davanti alla faccia e prima che le porte scorrevoli si chiudano mi manda un bacio volante.
Sette giorni. Solo sette giorni e potrò tornare alla mia vita.

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