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«Deve avermi fatto male il pasticcio» Joshua, il mio quasi fidanzato praticamente perfetto è in bagno da ore.
«O forse l'insalata di patate» i suoi conati giungono alle mie orecchie e ho dovuto trattenermi. È uno spettacolo che non augurerei neppure al mio peggior nemico.
«Oppure il chili» tira lo sciacquone.
«O l'hamburger» rutta così forte che penso che le finestre stiano per esplodere.
«è stata la cheesecake» ricomincia. Come faccia a parlare di cibo è un mistero e come abbia fatto a mangiare tutta quella roba anche.
«Forse i fagioli» i rumori che provengono dal bagno cominciano ad essere allarmanti.
«No, no è stata la cipollata» rantola.
«Ti vado a fare qualcosa di caldo» poi dovrò andare fuori al gelo a recuperare i regali per i bambini e fingermi Santa Claus. È emozionante? Vorrei avere un bel vestito da elfo. Il cellulare mi avvisa di una notifica e mi appare Mark con l'abito che avrei indossato io per fare la piccola aiutante di Babbo Natale. Bellissimo. Mi strappa un sorriso, mentre
mi metto una vestaglia lunga e la allaccio giusto perché stavolta le probabilità di incontrare Joe sono più che tangibili. Siamo a casa sua.
Esco dalla camera a piedi scalzi per fare il minor rumore possibile. Mary Rose dorme con Abigail e Robert sul divano vicino al camino che è diventato un lettone. Mi vede e mi fa un cenno, giusto per ricordarmi la mia missione segreta.
La luce calda del camino che si sta spegnendo mi permette ancora di vederla e di rispondere alzando il pollice.
Mi dirigo silenziosa verso la cucina e preparo un tè caldo per Joshua. Devo ammettere che Joe ha fatto proprio un buon lavoro e districarmi in un ambiente che non è il mio mi risulta famigliare. Il te è dove lo avrei sistemato. Così come la tazza e la teiera, che per fortuna non è di quei modelli che fischiano, se no avrei rischiato di svegliare tutta la casa.
Raggiungo in camera Joshua con la tazza fumante, ma lui è già addormentato e russa. Per lo meno ha smesso di fare quei rumori agghiaccianti.
Appoggio il tè nel vicino comodino, vicino al mio telefono che sblocco solo per verificare che Mark non abbia novità per me. Nessuna, ma l'orologio digitale mi avvisa che è tardi e rischio di essere smascherata se non mi muovo. Torno sui miei passi, nella hall dell'ingresso trovo gli scarponi da neve di mio padre. Non infilo neppure la giacca. Fuori è freddo ma sarà il male di qualche secondo.
Apro la porta, cercando di schermare il gelo con la mia vestaglia di cashmere. La macchina è nel vialetto a pochi passi. Raggiungo il porta bagagli e estraggo le buste con i regali. C'è né uno per tutti, anche per Joe, che non se lo merita, ma vista l'ospitalità non ho potuto esimermi. Poi era lì da troppo tempo in attesa di un padrone, e visto la scoperta della sua rinnovata passione per le fotografie, penso sia il regalo perfetto. Senza considerare che l'adolescente romantica l'aveva acquistata per lui, prima del bacio e prima dell'addio.
Torno verso la porta di casa,abbasso la maniglia intirizzita dalle temperature esterne e rimango di sasso. Non ho pensato che con il vento potesse sbarrarsi. Mi prende il panico. Morirò congelata, questa sarà la notizia che riempirà il paginone centrale. 'Stella di Choice morta congelata la notte della vigilia. Voleva emulare Santa Claus'
Cazzo. Mi appoggio disperata, dando una testata al legno così forte che spero che Mary possa sentirmi. Attendo qualche secondo rischiando l'assideramento. In automobile il rischio di morire congelata potrebbe comunque essere alto, ma mai come qui all'addiaccio.
Torno verso l'auto, ma inciampo in malo modo e finisco con gli scarponi conficcati nelle neve alta e la faccia sulla distesa ghiacciata. Alzo gli occhi al cielo, e per caso mi sembra di scorgere una piccola depandance. Dentro la fioca luce di una fiamma mi fa sperare che sia aperta. Affondo nella neve a piedi nudi, tenendo tra le mani la borsa dei regali e gli scarponi di mio padre, la vestaglia zuppa, i capelli scombinati dal vento e il gelo nelle ossa, riesco a raggiungere la piccola porta e, grazie al cielo, si apre.
La richiudo alle mie spalle, spingendola per il vento forte e mi appoggio sulla porta, scivolando a terra. Sto congelando. Non sento più le dita delle mani, i piedi sono formicolanti e i denti sbattono tra loro così forte che ho paura si spaccheranno. Devo avvicinarmi alla fiamma per scaldarmi, solo che qualcosa in quella stanza rischiarata per metà dal riflesso della luna sulla neve e per metà dalla luce calda di un camino ancora acceso attira la mia attenzione. Una grande scrivania di legno sulla quale sono sparpagliati migliaia e migliaia di scatti buttati lì, come se non avessero valore. E invece di valore ne hanno parecchio. Tra di loro scorgo il famoso 'occhio sul mondo' di Ray J. Riverman, uno dei migliori fotografi del nostro secolo che ormai da anni si è ritirato, nessuno sa dove. Avanzando scorgo un set fotografico e tutta una serie di inediti a terra anche loro buttati alla rinfusa. Mi abbasso per prendere tra le mani l'immagine di un bambino che stringe un'arma da fuoco tra le mani. È qualcosa di crudo, quasi doloroso.
«Fa male.»
Sobbalzo, usando l'immagine come scudo, stringendola al petto.
La sagoma scura di Joe è tra me e il camino. Ci butta un ciocco di legno.
«Ho sempre pensato che la fotografia fermasse l'attimo e lo trasformasse in eterno» continua avvicinandosi. «Non voglio che queste immagini lo siano. Sono disumane.» il dolore della sua confessione mi colpisce come uno schiaffo.
«Tu lo hai conosciuto?» mi riferisco al famoso fotografo che ha scattato quelle fotografie. Se lui lo conoscesse, tutti i miei guai sarebbero finiti e avrei il mio articolo in esclusiva. Intervista al fotografo più quotato del secolo che nessuno è mai riuscito ad avere... Immagino già i titoli a caratteri cubitali.
«è morto dopo due giorni dallo scatto.»
«Ray J. Riverman è morto?» questo sì che è uno scoop. Insomma sono dispiaciuta per la sua arte e per l'uomo che era, per la famiglia che lascia, per l'intervista mancata,ma potrebbe comunque salvarmi la carriera. E Joe lo conosceva.
«No, il bambino» le sue spalle larghe, imponenti, sono curve sotto il peso di una sofferenza che non conosco. Per me Joe è dispettoso, insolente, affascinante.
Mi avvicino e lo sfioro. Non so cosa dire per farlo stare meglio e vorrei tanto mi parlasse di Ray, ora che la mannaia sulla mia testa sembra meno minacciosa.
Gli alzo il viso, passando con i polpastrelli sulla linea della sua mandibola, e fermandomi al mento.
«Lo hai conosciuto? Il fotografo dico.» Joe mi guarda come se non mi vedesse. Si sposta dal mio contatto, mentre io non ho intenzione di muovermi dal calore del camino. Non mi risponde. Lo sento spostarsi per la depandance, sento un tintinnio di bicchieri, una bottiglia, il rumore di un liquido versato e lo scoppiettio del camino.
Torna da me allungandomi un bicchiere pesante con dentro del whisky. Non il mio preferito, ma visto il gelo che ho dentro, potrebbe solo scaldarmi. Ne butto giù un sorso.
«Sì e anche il bambino.»
Sì? Forse sono salva! «Devi parlarmi di lui! Mettermi in contatto.»
«Te l'ho detto. È morto!»
Di nuovo si scosta, ma stavolta sono risoluta, complice il drink e il barlume di speranza che si è appena acceso, gli afferro un braccio.
«Non il bambino. Un articolo su una tale icona potrebbe salvarmi la carriera e... la vita!» mentre ci sono ingurgito anche l'altro sorso, fino a finirlo. L'esofago brucia, ma il corpo è già più caldo o forse è l'euforia del momento.
«Non è tipo che ami parlare di sé.» lo so. È una specie di Arsenio Lupin della fotografia, colpisce, scatta e nessuno l'ha mai visto. «Solo che io ho bisogno di questo miracolo di Natale.»
Ho le mani congiunte. Lo sto pregando.
«Joe... non te lo chiederei, se non fosse importante.»
Mantengo il contatto visivo.
«Se è così importante, cosa sei disposta a fare?»
Perché la sua espressione ha qualcosa di malinconico in questo momento? Le sue iridi mi fissano come se non mi conoscesse, ma io non posso toppare il paginone centrale il mio primo anno di caporedattrice. Ho lavorato troppo duramente per non sapere che c'è sempre da fare dei sacrifici per ottenere ciò che si desidera. Mi mordo il labbro inferiore perché lui mi sembra fin troppo serio, non è il solito Joe e poi sputo tutto d'un fiato: «Qualsiasi cosa!»

La Magia Della NeveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora