54° capitolo

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Erano trascorsi ormai tre giorni da quando avevo visto Lorenzo crollare a terra nel mezzo di San Siro.

Erano stati i tre giorni peggiori della mia vita, settantadue ore in cui non avevo fatto altro che piangere, o pensare a Lorenzo.

Nell'ultimo giorno il dolore si era affievolito leggermente: ormai l'immagine di tutto ciò che era accaduto prima di quella maledetta sera, si stava affievolendo.

Nella mia mente vedevo solo un letto d'ospedale, con un Lorenzo addormentato che lottava tra la vita e la morte.

La notizia del suo tentato omicidio aveva fatto il giro del mondo: avevo ricevuto visita di tutti i suoi parenti, amici, e dei suoi colleghi.

Anche i miei genitori vennero a Milano per starmi a fianco, per consolarmi in quello che era il momento più duro di tutta la mia esistenza.

Non avevo ancora visto Mattia. Non ce la facevo, era più forte di me.

Solo l'immagine che avevo in testa di quel meraviglioso bambino, mi creava una fitta lancinante al cuore.  Tutto mi ricordava Lorenzo, dai suoi capelli, che ormai erano cresciuti, biondi come quelli del padre, ai suoi occhi azzurri, al suo profumo.

Davanti a me rivedevo le immagini del matrimonio, del momento in cui avevo detto a Lorenzo di essere incinta, del nostro viaggio di nozze, del parto.

Tutto era ancora chiaro nella mia mente, eppure allo stesso tempo mi sembrava che tutto ciò fosse accaduto in un'altra vita.

Mi accasciai su una sedia, esattamente nel momento in cui Federico faceva capolino all'ingresso del reparto.

Venne verso di me e mi abbracciò. 

"Novità?", mi chiese, speranzoso.

Scossi la testa. "Nulla"

Restammo in silenzio per quelli che avrebbero potuto essere benissimo dei secoli, fino a che all'orizzonte non comparve l'immagine di un medico, che si diresse verso di noi.

"Se volete potete entrare nella sua stanza, uno alla volta però"

Mi sollevai dalla sedia, di scatto, e chiesi: "questo vuol dire che sta migliorando?"

Il medico mi osservò per qualche istante poi disse: "Signora non me la sento di mentirle. Non ci sono miglioramenti. Se la situazione rimarrà invariata troppo a lungo, purtroppo dovremmo valutare l'idea di staccare la spina"

Rimasi immobile, incredula di ciò che le mie orecchie avevano appena udito. 

"No", esclamai. "Dovesse restare così anche per anni, non permetterò mai che venga staccata la spina"

"Allora purtroppo sarete costretti ad avvalervi di mezzi privati, l'ospedale non può tenere un paziente troppo a lungo"

Annuii. Avrei fatto qualsiasi cosa per Lorenzo, e di certo non mi sarei mai presa la responsabilità di staccare la spina, ritrovandomi quindi a vivere con un dubbio madornale: si sarebbe mai svegliato se non l'avessi fatto?


Non appena il medico ci lasciò soli, Federico si disse d'accordo con me, e mi permise di entrare per prima nella stanza di Lorenzo.

Quando mi richiusi la porta alle spalle, rimasi lì, ferma immobile ad osservarlo.

Mi avvicinai a lui lentamente, quasi temendo che il minimo rumore potesse rompere quel suo equilibrio precario.

Mi sedetti su una sedia accanto al suo letto e gli presi la mano. Così morbida, meravigliosa come sempre, apparentemente esente dal dolore che il resto del suo corpo stava subendo.

"Lori", dissi, quasi sperando che mi rispondesse.

proseguii a parlare, sempre nella speranza che potesse sentire ciò che dicevo.

"Lo sai vero che ti devi svegliare?"

Restai un po' in silenzio, osservando quei suoi dolci lineamenti che ormai anni prima mi avevano fatta innamorare.

Non era cambiato affatto: era sempre lui, quel meraviglioso ragazzo che si era seduto accanto a me su una panchina di una via di Firenze, lo stesso che mi aveva portata a Forte dei Marmi, che mi aveva dichiarato il suo amore osservando il mare. Lo stesso che aveva scelto di giocare per una squadra di Milano solo per stare al mio fianco, che mi aveva chiesto di sposarlo quando ormai tutto sembrava perduto, lo stesso che mi aveva detto di volere un figlio da me, e che poi aveva fatto sì che questo suo desiderio si realizzasse.

Era lo stesso a cui avevo detto di sì sull'altare, e al quale avrei ripetuto quelle due lettere all'infinito, anche in un'altra vita, anche dopo miliardi di anni.

Non sapevo cosa dirgli: tutto ciò che avevo in testa richiedeva risposte, ed era evidente che in quel momento non era in grado di darmele.

"Lori stai tranquillo, non permetterò mai che stacchino la spina", gli dissi, tutto d'un fiato.

Osservai il pavimento, così freddo, triste.

Iniziai a canticchiare a bassa voce le prime parole di "Maps", dei Maroon 5. Lui amava sentirmi cantare, magari lo avrebbe aiutato a svegliarsi.

"I miss the taste of a sweeter life
I miss the conversation
I'm searching for a song tonight
I'm changing all of the stations
I like to think that we had it all
We drew a map to a better place
But on that road I took a fall
Oh baby why did you run away?"

Queste ultime parole mi si ruppero in gola. Sentii le lacrime scendere lungo le mie guance, ma le asciugai, decisa. Dovevo restare forte.

Di colpo sentii la sua mano muoversi, ma poi un lungo, acuto fischio uscire dalla macchina che lo teneva in vita.

sapevo perfettamente cosa quel suono stava a significare.

Improvvisamente entrarono nella stanza una decina di medici e infermieri.

Vedevo tutto offuscato. Non potevo averlo perso sul serio, non potevo...

Poi, di colpo, Lorenzo si svegliò.

Sia io sia i medici rimanemmo attoniti ad osservare ciò che era appena accaduto. La macchina lo aveva catalogato come morto, mentre lui era tornato in vita.

Mi gettai al suo fianco, lo baciai.

I medici mi chiesero di uscire qualche istante dalla stanza, per dargli il tempo di medicare la ferita e di appurare il suo stato di salute.

Mezz'ora dopo un medico venne a dirmi che andava tutto bene: non c'erano gravi conseguenze. Gli sarebbe bastato un lungo riposo per poter tornare a vivere come prima.

Entrai.

"Ciao", mi disse Lorenzo.

"Mi hai fatto morire", gli dissi.

"Non mi ricordo nulla", disse lui. "Cos'è successo? L'ultima cosa che ricordo è che il Milan aveva fatto goal..."

"Ti hanno sparato, durante la partita. Sei qui da quasi quattro giorni"

Non disse nulla.

"Grazie per esserti svegliato, non avrei mai potuto vivere senza di te"

"Non avrei mai potuto abbandonarti", mi disse, prendendomi la mano.

Lorenzo era vivo, di nuovo, e mi sorrideva, come nulla fosse successo.


Lorenzo Chiesa || la prova che il destino esisteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora