Oneshot: "Sola"

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"C'è forse ancora qualcosa da poter fare, per salvare quel poco che ci è rimasto?"
La voce tremante della ragazza ruppe il silenzio, crepitando nell'oscurità levante del crepuscolo.

Il ragazzo chiuse lievemente gli occhi, il mondo attorno a lui che si faceva improvvisamente sfocato ed indecifrabile.
"E cos'è che ci sarebbe rimasto, dopo quello che è successo?" Rispose, il tono rassegnato.

Intorno ai due giovani, oltre il loro accampamento di fortuna e le fiammelle del falò che danzavano flebilmente, vi era una desolazione totale, assoluta.

Campi un tempo lussureggianti, ricolmi delle vegetazioni più disparate, avevano lasciato ormai il posto al deserto, alla terra brulla e solcata dalle profonde crepe della siccità; intere famiglie erano state costrette a trasferirsi altrove, in cerca di terre fertili in cui poter mettere radici, ma il morbo aveva presto raggiunto ogni angolo del pianeta, lasciando chiunque senza scampo.

Ogni singolo stralcio di terreno era diventato veleno puro per le piante che tentavano di proliferarvi: era come se le radici non riuscissero ad estrarre il nutrimento necessario; di conseguenza, la vegetazione appassiva inesorabilmente.

La totale mancanza di raccolti aveva portato all'insorgenza di carestie, e le carestie avevano costretto gli esseri umani, perfino gli umili e gli onesti, a compiere gesti indicibili, pur di sopravvivere; eventualmente, nonostante la disperazione e la strenua ricerca di una soluzione da parte dei ricercatori, sul pianeta non rimasero che pochi sopravvissuti, condannati a morire di stenti seguendo nell'oltretomba i cari già defunti.

La ragazza proveniva da una regione lontana, un tempo percorsa da chilometri quadrati di fiumi e paludi; tutti i suoi parenti erano morti a causa della carestia, che aveva colto di sorpresa ciascuno di loro.

Aveva errato, sola come un cane, per quelli che le erano sembrati mesi, finchè, in un'ennesima cittadina colta dalla desertificazione e abbandonata a se stessa, non aveva incontrato lui.

Il ragazzo aveva trascorso il devastante periodo apocalittico chiuso in un bunker, protetto dalle spesse pareti del rifugio e soddisfatto dalle scorte di cibo in scatola che era stato in grado di conservare.
Tuttavia, la situazione di pace apparente non durò per sempre, e la fame insopportabile spinse anche lui fuori dalla sua tana.

I due si erano conosciuti così, sotto il sole crudele di una calda mattina d'estate, e avevano continuato a viaggiare senza meta, confortandosi della presenza reciproca, e alimentandosi di quelle poche razioni che avevano ancora con loro.

Era probabilmente settembre; sul suolo non vi sarebbero state foglie cadute per l'avvento dell'autunno, poiché i rami da cui sarebbero dovute pendere erano secchi da tempo; l'aria si rinfrescava col calar del sole, e una tristezza attanagliante non lasciava scampo ai due ragazzi.

Si erano accampati nel mezzo del deserto, in corrispondenza di un ampio tronco tagliato, che avevano utilizzato come appoggio per spartirsi il cibo, per risistemare le scorte negli zaini, per sedersi ad ammirare la sconfinatezza della loro condanna, nonostante disponessero di una sedia da campeggio più che funzionale.

Ad esser sinceri, quella carcassa legnosa era l'ultima connessione che possedessero con la natura avvizzita che li circondava, presente ancora in piccoli ciuffi d'erba rinsecchita e in sporadici rivoli d'acqua che non avrebbero dissetato alcuna radice: non c'era più nulla di vivo, ad eccezione loro.

Dunque, quella sera di inizio settembre, al tramonto, erano seduti schiena contro schiena.

La ragazza era certa di star piangendo silenziosamente, nascondendo come poteva il dolore che la dilaniava, ma il ragazzo percepiva come le spalle curve dell'altra sobbalzassero ad ogni singhiozzo sommesso.
Erano entrambi magri, scarni, affamati da una gola che non sarebbero mai riusciti a saziare, ma almeno non erano soli.

Il ragazzo si crogiolò nel silenzio del vespro, mentre le sue dita percorrevano stancamente il proprio ventre, tastando le costole e tracciandone la forma persino da sopra la maglia che aveva indosso; era solo questione di giorni, prima che la morte prendesse anche lui.

La giovane parlò ancora, stavolta a voce alta.
"Siamo rimasti noi due, no?" Ribattè, il mento alto rivolto alla notte che incombeva.

"Non c'è più nulla che ci sfami o che ci mandi avanti. Come pretendi di poter vivere in questo stato?!"

La ragazza si voltò e premette il viso contro la schiena di lui, ispirando a fondo quell'odore così familiare che l'aveva tenuta ancorata all'esistenza nei momenti peggiori.

"Penso che dovremmo trascorrere come si deve gli ultimi giorni che ci restano al mondo." Un altro singhiozzo. "Penso che innamorarmi di te fosse la cosa più naturale che potesse capitarmi in questo folle periodo."

Il cuore del giovane perse un battito.
Aveva sempre represso tutto ciò che quelle settimane di convivenza gli avevano procurato; l'affetto, l'amore, la dolcezza che percepiva ogni volta che la guardava negli occhi, sepolti sotto una coltre di disperazione.

'Cosa me ne farò di tutto questo, quando so per certo che moriremo presto entrambi?' Pensava, 'Perché dovrei soffrire ancora?'
"Come puoi essere certa di amarmi? Sono l'unica persona con cui hai avuto contatti per mesi. Potrebbe essere-"

"Stai zitto." Lo interruppe lei, "Smettila di provare a giustificare i miei sentimenti. Io so quel che provo, e so quel che voglio. Non abbiamo nulla da perdere, giusto? Allora io decido di amarti fino alla fine dei tempi."
Lui si alzò in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi.

"Stai delirando." Le disse, ma avrebbe desiderato gridarle il contrario.
Non poteva permettersi di lasciarsi andare, non con la consapevolezza che sarebbero presto morti di fame.

Lei scattò più rapida di uno schiaffo, e gli fu di fronte in un istante.
"Ti conosco troppo bene per credere a quello che stai dicendo. Perché ti comporti così? Perché fingi che non ti importi di quello che abbiamo?"

A quelle parole, il ragazzo crollò completamente, poggiando la fronte contro quella della ragazza, i loro nasi che si toccavano, le loro labbra che si sfioravano dolcemente.

"Non sopporterei di perderti, nè ora, nè mai. Non potrei mai perdonarmi di averti fatto gettare al vento gli ultimi istanti della tua vita, costringendoti a stare con me. Ma so per certo di amarti."

Lei sorrise contro la bocca dell'altro, straziata; il bacio che si scambiarono, esausti, fu lento, disperato, profondo.

Non ci fu nulla da aggiungere; chiusero gli occhi insieme, accasciati sul tronco secco e abbracciati l'uno all'altra, stretti ed inseparabili.

L'alba giunse, e la giovane riaprì gli occhi lentamente; ciò che vide la sconvolse al punto da farle scuotere il ragazzo, ancora addormentato, urlando il suo nome affinchè si svegliasse al più presto.

L'erba che circondava il loro tronco si era tinta di un verde acceso, e il muschio aveva ricominciato a crescere sulle pietre; piccoli e timidi boccioli erano spuntati dalla terra, di nuovo fertile e in procinto di riappropriarsi del vigore che un tempo l'aveva resa unica.
Tuttavia, mentre la meraviglia avvolgeva calorosamente le membra della ragazza, gli occhi del suo compagno rimanevano testardamente chiusi.

Lei lo spinse di nuovo, e il corpo del ragazzo stramazzò a terra, muto; era immobile, privo d'anima e di respiro: era completamente morto.

Non ci sarebbero state più albe, per lui. Non ci sarebbero state risate, nè amore, nè vita in quell'essere esanime che giaceva ai suoi piedi.

La realtà la colpì come un proiettile, e la ragazza crollò in ginocchio, invocando invano il nome dell'amato; le sue grida straziarono le valli, il suo pianto si riversò al suolo, abbeverandolo; ma non vi fu una singola parola che riuscisse a riportarlo indietro.
Era di nuovo sola.

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