1. La gente che vive sola

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La gente vive sola per anni – sconsolata.

Riccardo s'era convinto bastasse, per convincerlo che (prima o poi) sarebbe venuto qualcuno a prenderlo.


1. La gente che vive sola


Qualche volta basta.

Qualche volta è abbastanza un tetto sopra la testa, lo stridore di una porta sull'agonia dei cardini, un pasto a tavola, delle coperte, bei vestiti. Qualche volta basta per davvero – ma non a lui. Ad Alessandro non basta mai.

E non per ingordigia, per la stupida voglia di possedere ciò che non gli tocca (o che non può toccare), no: a lui non basta perché ha bisogno di credere che siano tutti così. Belli, brutti, bianchi, neri, giusti, ingiusti, piacevoli e dolorosi insieme.

Non gli basta la consapevolezza che il mondo non è polarizzato, che a volte le persone possano essere più cose insieme, no. Ad Alessandro non basta mai.

Non gli basta sapere che un giorno arriverà, lui vuoi sapere quando – lo pretende, perché i brutti ricordi li possiede solo lui, perché l'abbandono, crudele e ingiusto, ferisce solo lui. È finita così.

Con Riccardo che lo guarda e gli domanda cosa sia cambiato, cos'abbia fatto di sbagliato, e Alessandro se l'immagina alla ricerca di una spiegazione che non immagina. E che non arriva mai.

Vorrebbe dirgli che il tempo è cambiato e lui, prima o poi, sposerà una donna che forse amerà e forse no, ma di certo finirà a un certo punto per trovarla intollerabile. Che è finita con Alessandro che si cristallizza un sorriso in faccia, senza sapergli permettere di sbiadire – non lo sa, che è amore anche se ami qualcuno così incrinato.

Riccardo lo sa, che a volte ad Alessandro pesa ancora il cuore – come se non gli appartenesse più, lo lascia scivolare via in un sussurro. Poi, un giorno, non l'ha recuperato più.

Poi non l'ha recuperato più e gli è rimasto solamente un sorriso che non sapeva più come utilizzare. Gli ha detto: cosa pensi che possa farci, Riccardo. Il mondo sa di guerra, ma non la guerra vera, un cozzare di pensieri: tu da che parte stai?

Dalla tua, non lo sai? Dalla tua.

«Non hai fatto niente di sbagliato» si tira fuori Alessandro, con un sorriso stanco. «Io sono solo...».

«Stanco».

«Beh, sì» borbotta lui, a disagio. «Cosa dovresti avere sbagliato?».

Riccardo non lo dice – da che parte stare: tu hai deciso? – e china il capo, atono, nascondendo lo sguardo da quello di Alessandro. Perché, e questa in lui è la certezza più annichilente, se si facesse guardare negli occhi Alessandro lo coglierebbe esattamente per quel che è: un ragazzino rannicchiato sulla cornea, bagnato del colore dell'iride, silenzioso e sconsolato.

«Dimmelo tu» sussurra, senza guardarlo. «A me sembra evidente, che ho fatto qualcosa che ti ha...».

Turbato – non ha idea di quanto, dovrebbe rispondergli Alessandro, se solamente avesse del coraggio. Un briciolo: basterebbe.

«Riccardo» il tono di Alessandro è freddo, d'una quietezza che fa a pugni con la sua espressione o, forse, risulta in un pendant perfetto. «Lascia perdere, davvero».

«Perché?».

Domanda, avvicinandosi d'un passo.

«Devi per forza avere un perché per tutto?» domanda Alessandro, alzando un sopracciglio. «Non ti basta sapere di non aver fatto nulla di sbagliato?».

Nudo con i brividi || BlamoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora