𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨

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"La vita e i sogni sono i fogli di uno stesso libro

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"La vita e i sogni sono i fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare."

Leggo la frase di Arthur Schopenhauer presente nel mio Bacio Perugina, delusa. La scrivo nel mio amato quaderno, quello da cui non mi separo mai, soprattutto quando vengo a Hubbard Park, e sotto ci annoto i miei pensieri.

Cosa dovrebbe significare questa frase, Arthur?

Non lo sai che le pagine dedicate ai sogni vengono strappate via dalle delusioni? Lasciando solo le pagine dedicate alla vita, che restano da sole a comporre il libro. Al massimo, nel caso ci fossero delle pagine in più, nel mio libro sarebbero quelle delle disillusioni. E il libro dedicato a me dev'essere davvero triste, visto che nessuno si prende mai del tempo per leggerlo. Alcune persone non si soffermano nemmeno a guardare la copertina. Si limitano a vederla di sfuggita, distogliendo subito lo sguardo, senza avere curiosità alcuna di soffermarcisi qualche secondo in più.

Finisco di scrivere e osservo attentamente la pagina. La mia calligrafia è leggermente inclinata verso sinistra. Ricordo le parole di un articolo che mi aveva colpito talmente tanto da segnarle parecchie pagine prima. Sfoglio il mio quaderno finché non trovo la pagina che cercavo.

"La grafia inclinata verso sinistra con le lettere rivolte all'indietro riflette l'atteggiamento interiore di una natura che a causa di frustrazioni e delusioni passate fa fatica a fidarsi degli altri, fa fatica ad immaginare un suo futuro e quindi a progredire, a progettare ad investire su se stessa e sulle cose o persone per realizzare dei progetti".

Non avevo mai creduto a tutti questi dettagli psicologici prima di quell'articolo. Credevo nel linguaggio del corpo, certo, ma non credevo che ogni singola cosa fatta dalle persone fosse collegata a qualcosa di psicologico. Continuo comunque a essere un po' scettica sull'argomento, ma meno di prima.

Chiudo il mio quaderno e lo osservo. Si tratta di un quaderno a pagine bianche con la copertina in finta pelle marrone. Intorno ha un laccio con cui chiuderlo, e all'estremità c'è un piccolo ciondolo in metallo rappresentante una Dalia. Mi è stato regalato qualche mese fa dalla signora Garcia, una donna sui quarantacinque anni proprietaria di un negozio di libri vintage. Vado nel suo negozio almeno una volta a settimana, anche solo per salutarla, e un pomeriggio mi ha accolto col suo solito sorriso e la frase "ho un regalo per te". Ero rimasta sorpresa, perché non ricordavo nemmeno l'ultima volta che avevo ricevuto un regalo. I miei genitori non me li fanno mai, nemmeno alle ricorrenze quali compleanni e Natali. Mi ero avvicinata a lei, curiosa, e la signora Garcia aveva tirato fuori da sotto il bancone questo quaderno. Mi aveva detto che aveva pensato subito a me appena era arrivato in negozio, sia perché tempo prima le avevo confessato che il mio quaderno su cui appuntavo tutti i miei pensieri stava finendo, sia per il ciondolo presente alla fine del laccio. Il mio nome completo è Elisabeth Dalia Smirnova. Anche se il nome che uso generalmente è Elisabeth, la signora Garcia ama chiamarmi con il mio secondo nome. Dice che mi rappresenta di più. E che la forma del fiore le ricorda i miei capelli, una massa voluminosa di ricci rossi e indomabili. Quando mi aveva consegnato il quaderno ricordo di aver provato un senso di calore concentrato sulle guance. Sono così poco abituata a gesti così gentili nei miei confronti che a riceverli provo imbarazzo e mi sento improvvisamente timida. L'avevo ringraziata, abbracciandola, e mi ero diretta subito al mio parco preferito, lo stesso in cui sono ora.

Hubbard Park è un parco meraviglioso di Montpellier, nel Vermont, e in autunno è il posto più bello che io abbia mai visto. Amo questo parco, ma in questa particolare stagione è uno spettacolo mozzafiato: le foglie degli alberi gialle e arancioni, il rumore di foglie e rametti secchi quando cammini, il clima né troppo caldo né troppo freddo... Insomma, la natura in autunno riesce sempre a lasciarmi senza fiato.

Appoggio il quaderno sulle gambe lasciate distese, e appoggiata al tronco di un albero osservo le persone intorno a me. Una donna bionda gioca con il proprio cane, lanciando una pallina da tennis; due vecchietti si tengono per mano su una panchina, guardandosi, sorridendosi, parlandosi con i sentimenti e non a parole; un ragazzino va in giro sul suo skateboard; dei bambini giocano a palla... Rimango a osservare la vita che mi circonda finché non vedo uno scoiattolo sul tronco. Mi osserva, vicino alla mia spalla, così decido di allungare una mano per accarezzarlo. Pessima idea... Lo scoiattolo mi morde, così allontano la mano di scatto, mentre l'animale fugge via. Vedo del sangue sulla punta dell'indice, così cerco un pacchetto di fazzoletti nel mio zainetto, maledicendomi per la pessima idea avuta.

Una volta che il dito ha smesso di sanguinare, metto il quaderno nello zaino e mi alzo, pronta per tornare a casa. Una volta arrivata all'uscita del parco, mi guardo indietro un'ultima volta, rammaricata del fatto che qua dentro il tempo passi fin troppo velocemente.


Devo ancora finire due storie? Si.
Ne ho pubblicata lo stesso un'altra? Già.
Ma sentivo la necessità di raccontare la storia di Elisabeth, perché penso che molte persone ci si possano rispecchiare. Spero vi piaccia.

L'insofferenza delle anime intrappolateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora