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La fragranza dolce e raffinata che emanava il tubicino di quell'insolita vernice trasparente colmava quel piccolo spazio racchiuso dalle quattro pareti oramai consuete alla monotona umidità proveniente da quei malinconici riflessi vitrei di palazzi arancioni, alture anziane e nembi sospesi nell'aria.
Nel frattempo, la luce di un'affabile lampadina metallica allietava la tavola di legno bianca squadrando attentamente il grazioso quadrato di carta, così soffice e fine, con la consapevolezza che egli lo avrebbe apprezzato.
Quando le mani cominciarono a muovere l'esile pennellino bagnato dalla sostanza densa e acquosa, sull'unghia fredda e irrequieta, il timido foglio di carta non si mosse di una virgola per aiutare le povere e secche cuticole che rischiavano di bagnarsi.
Le dita morbide e affusolate diventate roride a causa dell'eccessiva concentrazione, trasportarono la grande massa di peli all'interno della boccetta per poi poggiarla sull'unghia e farla scivolare in modo lento e soave  fino al punto della sua crescita.
Conclusa la prima fase, mi alzai dalla grossa e comoda sedia imbottita e cominciai a sventolare le mani tumultuosamente sperando che la corrente contribuisse.
Spesso le mostravo al lume, il quale si accorgeva però di quanto fossero rovinate e piene di spaccature sulle nocche e su alcune giunture; ma
ciò che mi interessava davvero erano i dieci riflessi vulnerabili, i quali desideravo si asciugassero in breve tempo in modo tale che diventassero invulnerabili al tocco di qualsiasi oggetto.
In seguito, mi misi sul letto rumoroso e indigesto a causa delle travi di legno chiaro che non andavano d'accordo con il materasso, il quale invece, permetteva di assorbire la pressione del corpo.
Presi le cuffiette bianche e le indossai, facendo attenzione allo smalto ancora bagnato, attaccai il filo al cellulare e cominciai ad ascoltare un pò di musica rock.
Passò circa mezz'ora e dopo aver letto un bel libro, fatto una calda e rilassante doccia e mangiato qualche biscotto, decisi di mettermi a letto esausta e soddisfatta della mia giornata.
Al contempo, lo smalto si era asciugato ed io mi sentivo finalmente libera, senza la preoccupazione di rovinarle potevo finalmente dormire tranquillamente.
Sfortunatamente nessuna di quelle sere in quel periodo era tranquilla; ed era un vero e proprio problema che mi tartassava quasi ogni fine settimana e di rado anche il giovedì.
Rumori fastidiosi, infimi che pungolavano il mio corpo ad alzarmi ogni qual volta io li sentissi.
Il vento, le tende bianche, il gelido che si concentrava sulle mie mani ed io non facevo nulla per impedirglielo.
Le vibrazioni, le ciabatte di pezza, le calze che intrappolavano la parte sottostante dei pantaloni del pigiama cosicché non sentissi freddo alle caviglie, le pareti timide e riservate, il cuscino che condivideva un rapporto si grande fiducia con la solitudine, sdraiato sulla sedia; un ambiente cupo, impaziente, disadattato, malinconico. Strano, non speciale, carino, non unico, incomprensibile, non muto.  La mia mente riceveva così tanto odio da quelle maledette sere fino al punto da far impedire alla mia mente di considerarle un mucchio di ore leali, fedeli e amichevoli, dopo una lunga e faticosa giornata. Ma io non volevo fosse così, e per ottenere il contrario l'unica cosa che potessi fare era girare il capo verso la croce situata sopra la porta di legno massiccio augurandomi di non essere catturata da un profondo terrore o da una delusione imperscrutabile.

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