La conclusione della guerra

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Questa storia è stata da me raccolta dalla viva voce di mia madre Tina; le opinioni qui espresse sono quindi interamente sue, non mie.

I nomi delle persone sono stati volutamente modificati per motivi di privacy, eccetto quelli che si possono trovare citati nei libri di storia locale; i toponimi invece rispecchiano la geografia reale.

Pievebelvicino (Vicenza), marzo 1945

Ogni giorno ormai gli aerei alleati passavano sopra le nostre teste; provenienti dal Brennero, uscivano dal colletto di Posina sopra il monte Novegno seguendo la rotta verso sud sopra i monti tra Magré e Malo. Si distinguevano caccia di scorta alle fortezze volanti, pesanti quadrimotori carichi di bombe che quando ritornavano erano visibilmente più agili e leggeri. Ogni volta suonava l'allarme aereo e c'era un'atmosfera di continuo, ininterrotto terrore; si viveva sempre con la morte vicina.

Il 20 marzo, due giorni dopo il mio decimo compleanno, mi trovavo con la mia amica Silvia Eberle ed il mio fratellino Remo, di appena tre anni, a raccogliere primule sotto casa mia, nella priara (1) di Gijio, mentre mio padre Aldo, con l'aiuto del nostro vicino Ciscato, stava andando a seminare le patate, con quattro vacche attaccate al giogo dell'aratro.

Com'era ormai consuetudine quasi giornaliera, sentimmo suonare le sirene dell'allarme aereo; noi bambini ci nascondemmo tra gli alberi, così come fecero mio padre e Ciscato con le vacche, che si trovavano nei campi più in basso. Cominciarono a giungere le fortezze volanti scortate dai caccia; Silvia ed io ne notammo una di lenta, che sbandava in volo ed emetteva un rumore insolito. Improvvisamente ci fu un'esplosione sul lato del grosso aereo, che cominciò a perdere velocemente quota precipitando verso la parte bassa del monte Raga, apparentemente dritto verso contrà (2) Santerini dove vivevano mio nonno Vani ed i miei zii Bruno e Cornelia. Cominciammo tutti ad urlare terrorizzati; mio padre corse su, abbrancò Remo e si gettò in un fossato, gridandoci di fare altrettanto. Ciscato, impacciato dalle vacche, le mollò e si gettò in un roveto, con il grembiule sopra la testa. Le bestie ruppero il giogo e si lanciarono muggendo atterrite per i campi, in fuga.

Pochi attimi dopo si udì un boato assordante e vedemmo una fiammata altissima, poi udimmo lo scoppio in successione di molte bombe.

L'aereo aveva superato la cresta del monte dove si trovava la casa del nonno ed era precipitato a Magrè in contrà Barona, dritto sopra una fattoria, che quel giorno scomparve completamente. Anni dopo, una superstite mi raccontò che si trovava in camera da letto vicino all'armadio appoggiato contro il muro maestro della casa; un istante dopo era a cielo aperto, con sotto i piedi un pezzetto di pavimento: della casa non erano rimasti che il muro portante e l'armadio, e lei si era salvata per puro miracolo.

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Intanto la guerra volgeva al termine. Il bosco era di un verde lucente, con le foglie che cominciavano a crescere, quando iniziò la ritirata dei tedeschi.

Da casa mia si vedeva bene la strada statale 46 del Pasubio che da Schio sale a Torrebelvicino, e di lì prosegue attraverso Valli del Pasubio verso la Vallarsa in direzione di Rovereto e del passo del Brennero. Per molti giorni e notti, il traffico dell'esodo fu intensissimo, mentre la tensione si accumulava in attesa del segnale d'attacco da parte della Resistenza.

Per noi civili l'ordine era di star rintanati in casa finché la battaglia non fosse terminata.

Il 25 aprile 1945 a Pievebelvicino si sfiorò l'eccidio.

Suonò l'allarme aereo e, come di consueto, la gente si precipitò nel rifugio, una galleria scavata appositamente sotto il monte Castello, a poca distanza dalla canonica della chiesa parrocchiale di allora, l'antica Pieve di Santa Maria. I tedeschi in ritirata piazzarono delle mitragliatrici prendendo di mira l'imboccatura della galleria, che addirittura minarono con l'intenzione di far saltare tutto, trucidando gli abitanti di Pievebelvicino.

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