1. «Sono sempre attento jolie.»

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La luna è alta nel cielo, illumina le strade buie e vuote di San Siro. Sbuffai una nuvola di fumo, facendo poi un ulteriore tiro della mia sigaretta, quasi finita. Seppur fosse appena iniziato Marzo, faceva ancora molto freddo. Guardai l'orario dal display del mio telefono, le due.

Sospirai, sentendo gli occhi pesanti, visto che avevo un sonno tremendo, ma mio fratello Anas si era dimenticato le chiavi di casa e mi aveva pregato di aspettarlo sveglia. Un brivido di freddo mi percorse le spalle, così buttai dal balcone la mia sigaretta ed entrai in casa, chiudendo la finestra che portava sul balcone.

Legai i miei capelli mori in uno chignon, sedendomi sul divano, prendendo il mio telefono e aprendo Whatsapp, dove non trovai nessun messaggio.

La mia vita non è mai stata semplice, fin dalla tenera età: mio padre ci ha abbandonati all'età di 5 anni, scappando in qualche parte del mondo con la sua amante, lasciando col culo per terra la mia famiglia.
Mia madre ha dovuto trovare un lavoro in fretta, visto che purtroppo mio padre era l'unico che portava i soldi a casa, trovò un posto come cassiera in un supermercato in zona, ma lo stipendio era poco per sfamare 2 figli.
Iniziò a cercare anche un secondo lavoro, cercando di organizzare il suo tempo al meglio, non facendoci mai mancare nulla.

Ma quando io e Anas iniziammo a diventar grandi, ci demmo da fare anche noi. Io trovai lavoro come cameriera in un bar della zona, mentre Anas iniziò a spacciare. Non era la scelta giusta, ma in quel momento lo era. Ma per via del suo lavoro, iniziò ad avere molti problemi con la legge, arrivando ad avere a 19 anni un lungo curriculum di reati, che la maggior parte non ha mai commesso.

Con gli altri ragazzi del quartiere, che alcuni erano messi molto peggio di noi, ci dammo forza l'un l'altro, crescendo insieme.

Sentii il mio telefono vibrare, visto che l'avevo impostato in silenzioso e il nome di Anas comparve sul display. Non risposi, capendo che fosse tornato, così mi alzai e aprii la porta, vedendo che al suo fianco c'era anche Amine.

«È collassato, ha bevuto.» disse il migliore amico di mio fratello, con il braccio di Anas sulle sue spalle. Guardai severamente mio fratello, facendogli segno di far piano e seguirmi.

Chiusi la porta della camera di mamma, conducendo Amine nella stanza di Anas, per poi posare quest'ultimo sul suo letto. Gli coprii il corpo con le sue lenzuola, lasciandogli un bacio in fronte e uscire con Amine dalla camera.

«Grazie Amine.» dissi, non appena fummo nel salotto, incrociando le braccia al petto e guardare il mio amico.

«Non ringraziarmi Marika, Anas avrebbe fatto lo stesso per me.» disse, sedendosi sul divano e posarsi le mani in faccia. «Ti dispiace se sto un po' qui? Alle 3 dò il cambio a Sami.»

«No, resta pure.» dissi, guardando l'orologio appeso al muro, che segnava le 2:30. «Come vanno le cose? Anas mi ha detto che i clienti stanno calando»

«Già, verso Milano Ovest c'è un nuovo giro di spaccio.» disse, mentre io mi sedetti accanto a lui, posando la mia testa sulla sua spalla. «Ma stiamo comunque guadagnando bene, non posso lamentarmi.»

Il rapporto che c'è tra me e Amine è strano. Siamo cresciuti insieme. Ci siamo sempre stati l'uno per l'altro nei momenti sia bassi che alti. Non nascondo che provo un certa attrazione verso di lui, ma non potremmo mai metterci insieme, siamo solamente amici.

«Te invece? Non ti vedo al bar da un po'.» disse, giocando con i miei anelli.

«Mi spii per caso?.» chiesi, soffocando una risata.

«No, ma nessuno sa fare caffè decenti oltre a te.» disse, girando la testa verso di me, in modo da potermi guardare in faccia, ridendo.

«Ho chiesto qualche giorno di riposo.» dissi, guardando Amine riprendere a giocare con i miei anelli, provocandomi qualche brivido.

Si creò un silenzio assordante, si sentiva solamente il ticchettio dell'orologio, che stava diventando alquanto nauseante. Sentii il profumo da uomo di Amine invadermi le narici, facendomi sorridere istintivamente. Lui aveva messo il suo braccio sopra le mie spalle, continuando a giocare con i miei anelli, fermandosi ogni tanto.

«Cazzo, devo andare.» disse a un tratto, guardando l'orario sul suo telefono. «Mi piacerebbe tantissimo restare qui con te, ma devo proprio andare.»

Si alzò dal divano, dirigendosi verso la porta, seguito da me. «Amine, sta attento.» dissi, guardandolo.

«Sono sempre attento jolie.» disse, dandomi un bacio in guancia, facendomi l'occhiolino prima di scomparire dalla mia vista.

𝗣𝗮𝘂𝗿𝗮 𝗱𝗶 𝗮𝗺𝗮𝗿𝗲 ; 𝗡𝗲𝗶𝗺𝗮 𝗘𝘇𝘇𝗮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora