Chapter 17: Sixty seconds

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Quando vedete il simbolo [*] fate partire la canzone. Buona lettura

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«Va tutto bene, non sei più da solo», lo abbracciai più forte

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«Va tutto bene, non sei più da solo», lo abbracciai più forte.

Lui si separò da me dopo qualche secondo e mi guardò intensamente negli occhi, dandomi l'opportunità di vedere tutta la sua sofferenza. «Non ti costringerò, ma mi piacerebbe davvero sapere che cosa ti ha portato a pensare di fare una cosa simile» gli dissi. Non avevo bisogno dei dettagli, ma almeno sapere cosa fosse successo di tanto grave per fargli decidere di togliersi la vita.

Lui annuì e mi portò a sedermi sul divano vicino a noi. L'appartamento era davvero molto piccolo: appena entrati dalla porta, alla nostra sinistra c'era la cucina con un tavolo rotondo in mezzo e alla nostra destra c'era il soggiorno, costituito da un morbido divano marrone, un piccolo rettangolare tavolino da caffè e un mobile che ospitava un piccolo televisore. Di fronte a noi c'era un varco dal quale pendeva una specie di tenda da esterno che immaginavo portasse alla camera dal letto e al bagno. In un paio di passi saremmo potuti passare tranquillamente da una stanza all'altra.

Camminammo verso il divano per sederci e io tenni la mano stretta nella sua, sperando di dargli conforto. Lo osservai cercare di farsi forza per parlare, prendendo dei respiri profondi e chiudendo gli occhi. A quel punto sbuffò e prese la decisione di chinarsi verso l'orlo dei suoi pantaloni per sollevarlo, scoprendo un aggeggio attorno alla sua caviglia. «È una cavigliera elettronica quella?» gli chiesi.

Lui annuì e mi lasciò la mano. «Forse non avrei dovuto iniziare da questo, perché ora sarai terrorizzata e vorrai scappare via e non vedermi mai più e lo capisco» parlò. Ridacchiai al pensiero che Coach non avesse idea di quanto la scoperta che lui fosse un criminale non mi avesse sconvolta neanche minimamente.

«Hai ucciso qualcuno?» chiesi.

«Certo che no» rispose e io mi sforzai di pensare ad altro da chiedergli che non fosse qualcosa che avevo fatto anche io e la lista delle possibili domande iniziò a ridursi molto velocemente.

«Non sono pericoloso, non ho mai fatto del male a nessuno» mi spiegò, venendomi incontro. Scelsi di credergli, provandomi a convincermi del fatto che quella fosse la verità. L'unico motivo per cui avrebbe dovuto mentirmi era la sua paura di perdermi, perché lui credeva che se mi avesse confessato qualcosa di orribile avrei potuto non volerlo vedere più.

«Non sono spaventata» lo tranquillizzai. Lui non sembrò credere alle mie parole, ma d'altronde era perché non poteva sapere che io non fossi più innocente di lui. «Ora racconta» continuai. Lui annuì e prese coraggio.

«Questa caviglierà ha un raggio di ottocento metri» mi spiegò e subito mi si bloccò il respiro nel petto. «In pratica posso arrivare al supermercato alla fine della strada, in lavanderia, al parco, al lavoro e in quella tavola calda dall'altro lato della strada. La mia vita è tutta qui» concluse e io mi coprii la bocca con la mano per cercare di nascondere almeno un minimo la mia espressione estremamente preoccupata.

LA's Devil 2 - I'm not leaving you againDove le storie prendono vita. Scoprilo ora