Non avere paura

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Simone si era addormentato, stanco a causa della febbre e del mal di testa. Aveva chiesto a suo padre di non svegliarlo per cena, voleva solo riposarsi. Poco prima di cadere in un sonno profondo, il ragazzo aveva sentito il telefono squillare, ma non aveva avuto la forza di prenderlo per accettare la chiamata.

Simone si svegliò in un prato e, dopo essersi guardato attorno per qualche secondo, subito lo riconobbe. Era il prato in cui spesso giocava con il suo gemello Jacopo quando erano bambini, lo stesso prato in cui si era ritrovato più volte a camminare in quei giorni, senza però quella metà che era troppo distante da poter ricongiungere alla sua. Come se lui fosse un silenzioso spettatore di un universo parallelo, vide due bambini correre, seguiti da un Dante decisamente più giovane e più felice. Simone provò l'istinto di raggiungerli, di correre con loro, di stringere il gemello tra le sue braccia forti, ma le sue gambe non rispondevano ai comandi del cervello, obbligandolo a guardare senza poter reagire.

Il ragazzo si chiedeva spesso come sarebbe stata la sua vita se l'avesse vissuta in due, affiancato sempre da Jacopo, quello stesso ragazzo che aveva il suo aspetto ma d'altra parte sembrava così diverso in ogni suo gesto o sguardo. Simone, il piccolo Simone, aveva una dolcezza distinguibile negli occhi, la stessa dolcezza che si trasformava in preoccupazione non appena perdeva il gemello di vista. Jacopo, invece, negli occhi aveva un fuoco, una grinta e una forza vitale impossibile da contenere in un corpo così piccolo.

Fu proprio quel bambino a correre verso Simone, la versione cresciuta e ormai adolescente. Jacopo si fermò davanti al più grande e lo guardò con quello stesso fuoco che all'adolescente fece venire in mente il suo migliore amico Manuel.

"Ciao Simone"

"Ciao Jacopo"

Simone provò a sedersi, in modo da essere alla stessa altezza del gemello e fortunatamente ci riuscì, poi si soffermò sui tratti del bambino, cercando di imprimere nella sua testa ogni dettaglio del suo volto che, per qualche motivo, aveva cancellato dalla sua mente.

"Scusami se ti ho dimenticato"

"Era il tuo modo per difenderti. Avevi tre anni ed io ero la tua metà, non sarà stato facile per te"

Simone non si pose domande, non si chiese perché quel bambino avesse i pensieri di un adulto o perché avesse quel tono così sicuro e maturo. Quel bambino era Jacopo, quel bambino non lo stava incolpando, non era arrabbiato con lui e l'adolescente sentì un peso lasciare il suo petto.

"Non è stato facile per nessuno"

"E' sempre più facile per chi va via, mai per chi resta, perché poi bisogna fare i conti con il vuoto"

Simone non sapeva cosa dire, non si aspettava di poter parlare con il gemello, né tanto meno si aspettava di poter affrontare un discorso del genere con quello che sembrava un bambino, ma possedeva la maturità di un suo coetaneo. Stava parlando con suo fratello, però, e tutti i pensieri superflui abbandonarono la sua mente, c'erano solo loro due, in un prato deserto, a scambiarsi parole che non avrebbero mai più potuto pronunciare, vittime di un vita che era stata fin troppo crudele con loro. Qualcosa nel suo cuore lo spingeva a fidarsi del fratello, a confidare quelle paure che non lasciavano la sua mente durante il giorno e prendevano forma durante le sue notti.

"Perché è successo a te? Perché solo tu?"

"Non c'è tempo per il senso di colpa, Simò. Non ti odio per avermi dimenticato, né perché sono morto. Sì Simo, accettalo. Accettalo e vivi per due, respira per due, guarda il mondo anche per me. Io sarò sempre al tuo fianco, con me non resterai mai solo"

"Jacopo io..."

"Io niente. Ti sembrerò un bambino, ma è solo il mio aspetto, è fermo al giorno in cui mi è successo tutto. La mia anima è cresciuta insieme alla tua. Finché vivrai, e mi porterai nel cuore, vivrò anche io"

Non avere paura • Simone x ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora