6. È solo una follia

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POV: Manuel

- "Cazzo!" esclamo quando la suoneria del telefono, appoggiato sul tavolo da lavoro in garage, comincia d'improvviso a squillare, facendomi distrarre e portandomi a rovesciare la boccetta con l'olio motore, che stavo riempendo, sulla maglietta. Cerco di ripulire in fretta anche le poche gocce cadute sul pavimento in cemento, mi sfilo la t-shirt per evitare che l'unto mi sporchi anche la pelle, e faccio per rispondere al cellulare.

- "Pronto?"

- "Meno male che non ti serviva il ripassino."

È Carola.

- "Di che parli?" chiedo scettico.

- "Dell'esame. Non ci credo che tu l'abbia passato con un voto del genere senza aver ripassato", esclama in tono allusivo.

Scuoto la testa: "Ti ringrazio per la fiducia, eh... Per caso te rode er fatto che abbia saputo ammaliarla col mio fascino?"

- "Forse un po' sì."

Uno strano silenzio domina la conversazione per qualche secondo, interrotto poco dopo da un sospiro accentuato, il mio.

- "Tranquilla, ce metto io 'na buona parola per te co' quella."

Una risata fragorosa esplode dall'altra parte.

- "Poi magari ammali pure me."

Carola è così: dice tutto ciò che le passa per la testa, senza filtri, senza vergogna.

Non so quanto possa essere un bene, ma, spesso, cerco di non darci troppa importanza.

- "Già fatto", ci scherzo su.

Sento Carola dall'altra parte bisbigliare qualcosa di non troppo comprensibile, per poi cambiare discorso e costruire una conversazione su tutt'altro.

- "Ancora co' ste moto? Ma un hobby più divertente, no?"

- "Intanto stai sempre a chiede passaggi."

- "Quella è solo una scusa per poterti stringere."

Questa assenza di filtri tra bocca e pensieri avrà sicuramente un nome scientifico, penso tra me.

Continuiamo a scherzare per qualche altro minuto, finché non le comunico di dover andare a cambiarmi dopo il disastro con l'olio motore.

Ci congediamo senza troppe cerimonie, così mi affretto a salire in camera a prendere un'altra maglia da indossare. La stanza è vuota: Simone, mi ha detto mamma, è uscito stamattina, poco dopo di me, e ancora non rientra. Mi dirigo verso il piccolo armadio in rovere sbiancato con le maniglie grigie, dal quale prendo una t-shirt blu: prima di indossarla, mi fermo ad osservare la figura di un ragazzo a petto nudo che mi scruta dallo specchio. Raramente rimango a fissarlo: non amo vedere il suo corpo, il suo volto, i suoi particolari senza filtri, in un riflesso che, ormai, faccio sempre più fatica a riconoscere. Il volto scarno, le mezzelune scure sotto agli occhi e gli zigomi che si fanno man mano più spigolosi stonano con le labbra ancora carnose, i ricci luminosi e le iridi accese. Faccio scendere il mio sguardo sulle spalle ossute, i pettorali appena accennati e l'addome piatto: anche lì c'è una stonatura in mezzo a tutti i tatuaggi che ho da tempo. Ce ne è uno più recente degli altri, una scritta, leggermente sbavata, poco più in su delle rondini, ma dal lato opposto del torace, quello sinistro: una frase, divisa in due righe, perpendicolare alle costole, che mi tatuai da solo una sera in cui non era troppo sobrio. La sfioro con il pollice della mano sinistra e abbasso lo sguardo, mimando con le labbra quelle parole impresse sulla mia pelle.

Il rombo di un'auto mi ridesta dai miei pensieri: mi affaccio alla finestra, stando attento a rimanere nascosto dalle tende celestine, per sbirciare chi è. Ed è lì che li vedo, felici, sorridenti, una coppia destinata al lieto fine: Simone esce dalla macchina, mentre Federico lo imita per poi raggiungere il lato del passeggero e baciarlo. Un nodo irto di spine graffia la mia gola alla vista di quella scena: deglutisco per mandarlo giù, cosa che mi costa una certa fatica.

Non siamo su binari diversi: tu sei il mio binario ~ Simuel.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora