Cristallizzare

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Fu quella la prima volta in cui Simone, nonostante stesse vedendo Manuel andar via, si rese conto che non l'avrebbe fatto per sempre. Aveva riconosciuto in quel Manuel il Simone di cinque anni prima, quello che dopo ogni allontanamento l'aveva aspettato sempre, quello che dopo ogni ferita l'aveva amato sempre. E non fece la conta degli errori, rimuginare su chi avesse sbagliato di più e chi di meno non sarebbe servito dal momento in cui gli errori – nelle loro differenze –, alla fine, si somigliavano, perché dettati dalla stessa matrice.

E forse quella fu anche la prima volta in cui riuscì davvero a comprendere ogni errore di Manuel. Facile riempirsi di tante parole di perdono, passare su decine di errori ed accettare mille scuse, ma il meccanismo che scattò in Simone quando entrò in gioco la pura e semplice comprensione, gli aprì tutto un altro universo davanti agli occhi. Se avesse potuto tornare indietro nel tempo e cambiare una sola cosa della sua vita, gliel'avrebbe chiesto.

Manuel, hai paura?

Forse avrebbe ottenuto lo stesso effetto, forse invece sarebbe andata diversamente. Chi ha paura non sempre te lo dice, la paura ti mangia da dentro e finisce spesso per corrodere anche ciò che c'è intorno. Manuel si era allontanato perché la sua paura stava corrodendo anche Simone, il suo era stato un goffo tentativo di salvataggio in calcio d'angolo. E ci sarebbe riuscito, perché Manuel in fondo era sempre stato un abile giocatore, se non fosse che due anime separate ma che sono destinate, trovano sempre il modo di tornare ad amarsi. Questo Manuel non l'aveva messo in conto, almeno non subito. Simone si era rassegnato, credeva fermamente fossero tutte balle, frasi di cui neanche si ricordava l'origine ma che gli andavano a fare visita ogni tanto come se fossero parti della Bibbia imparate a menadito al catechismo, e gli rimanevano incastrate nel cervello nonostante lui non volesse approfondirle.

Si dovettero ricredere, entrambi.

Se le anime erano riuscite ad affrontare la prima paura, avrebbero sicuramente affrontato con successo anche la seconda. Dovevano solamente trovare il coraggio. Anzi, doveva farlo, da solo. Un po' per uno non faceva male, come le cose dolci.

La prima cosa che fece fu prendere il cellulare. Due squilli.

Lo posò in tasca e lasciò a passo più sicuro il vicoletto, tornando all'ingresso del bar in cui avrebbe dovuto affrontare un'altra miriade di domande e frecciatine da parte dei suoi amici. Si soprese, affacciandosi, che invece erano tutti andati via. Era rimasto solo Gianmarco, seduto al tavolo, che picchiettava distrattamente con il portachiavi sul tavolo.

«Dove sono gli altri?» gli chiese, una volta avvicinatosi a lui.

«Oi» si ridestò quello, sovrappensiero. «Sono andati via. Volevano lasciarvi il vostro tempo per parlare.»

«Mh.» annuì Simone. «E tu sei rimasto perché...?»

Gianmarco sospirò e gli fece segno di sedersi. Simone avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo e lamentarsi, ma non voleva sembrare scortese; quindi, semplicemente accolse l'invito e si sedette di fronte a lui.

«Perché Giulia mi ha detto di dirti che avrebbe continuato lei la relazione stamattina, e che potevi prenderti la mattinata libera. Non so, magari potevo farti compagnia.» sorrise.

Simone si lasciò andare molto scomodamente sulla sedia, gettando anche un po' la testa all'indietro e buttando fuori un piccolo lamento.

«Andata male con Manuel?» gli chiese il biondo, interessato.

«Sì e no.» gli rispose solo.

«Il vostro è un rapporto un po' strano, fatevelo dire.» rise l'altro.

Simone abbassò il capo e si rimise composto, poggiando i gomiti sul tavolo e unendo le mani. «Tipo?»

«Tipo che tu lo perdoni sempre per tutte le cose che ti fa. Io non ce la farei, soprattutto se lui continuasse imperterrito ad essere così...»

Di piccoli grandi ficcanaso e vino rosso | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora