56. Darling, all of the city lights never shine as bright as your eyes

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Le guance di Scott si fanno di un colore più vivido, raggrinzendosi all'altezza degli zigomi, sotto gli occhi verdi. Lo splendore del suo sorriso illumina improvvisamente la cucina, foderata soltanto dalla sottile luce del lampadario in salotto, quindi alle mie spalle.
I denti dritti tintinnano per sbaglio sulla forchetta mentre addenta la pasta al pomodoro che ho preparato. La mangia con un gusto che mi fa quasi chiudere lo stomaco.

Ho dimenticato il sale. È così insipida da sembrare carta masticata e sputata su un marciapiede.

«Hai avuto una giornata pesante a lavoro?» cambio argomento, bevendo un grande sorso di acqua per sciacquarmi la bocca.

La seconda bottiglia di birra posta sul tavolo luccica quando lui la afferra tra le dita. Tintinna contro il metallo argento dell'anello all'indice, provocando un suono calmo che mi gratta proprio il lato destro del cervello.

Guardo il vetro verde con tensione, catturata dal liquido che si muove al suo interno con una spirale larga e inquietante. Se assottigliassi gli occhi, sono sicura che riuscirei a vedervi dentro il mio riflesso.

Annuisce con le labbra serrate, «Abbastanza, ho dovuto saltare la pausa pranzo per colpa di un'emergenza. Ho mangiato un tramezzino al volo gentilmente offerto dal mio collega, non abbiamo nemmeno avuto tempo per un caffè».

Mi sento profondamente in colpa per avergli preparato soltanto della misera pasta al sugo. Non che le mie doti culinarie siano eccelse, ma avrei potuto impegnarmi di più. Non ho nemmeno immaginato che avesse saltato il pranzo, non me lo ha detto e oggi ci siamo sentiti poco per messaggio.

Se solo... ci fossimo parlati.

Non glielo dico. Mi limito a piegare verso il basso le labbra e spappolare gli spaghetti nel piatto fino a quando non diventano una poltiglia. Li guardo. Distolgo lo sguardo.

Tanto non avevo per nulla fame.

Scott se ne accorge, ma anche lui resta in silenzio, facendo finta di non aver visto niente.
Tuttavia, noto benissimo la mascella contratta e il pugno della mano sinistra stretto troppo attorno alla forchetta. Le nocche gli sono diventate bianche, le dita lunghe rossastre.

La tensione che imprime sul tavolo è tale da farmi pensare che sarebbe in grado di scavarci un buco perfetto con il pugno, se solo lasciasse andare il braccio e si liberasse della frustrazione.

Distolgo lo sguardo e lui continua a mangiare, aspettando che io dica qualcosa per mandare avanti la piccola conversazione che abbiamo iniziato.

Devo pensarci un attimo. Mi sono svegliata un'ora fa e non sono ancora del tutto sul pianeta terra. Ero così stanca, che mi sono addormentata sul suo divano, dopo appena aver messo piede in casa. È stato lui a svegliarmi, mi ha dato un bacio sulla fronte e io l'ho sentito anche nel sonno.

Ho ancora gli occhi così gonfi che mi fanno male le pupille. Faccio fatica a tenerli aperti. Persino la testa non mi dà tregua, sto vivendo un dopo sbornia mai avvenuto con delle casse attaccate alle orecchie che non smettono mai di suonare a palla.

Rimbomba tutto. Anche i nostri respiri si fanno più grandi, più profondi.

Schiarisco la gola con un colpo di tosse basso e sono pronta a schiudere le labbra, quando lui anticipa le mie intenzioni, rendendomi la situazione più facile, ma... faticosa.

«Tu, invece? Come è andata oggi?».

Ho la lingua impastata. Abbasso lo sguardo, «Bene, anche se non ho fatto un granché. Sono rimasta tutto il giorno in casa, sempre immersa tra i miei vestiti».

«Ginni non è venuta?» sembra sorpreso.

Nego con il capo, «No, era impegnata anche lei con le valigie» taglio corto, «Domani che turno fai?» torno su di lui.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora