6 - La partita

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Capricorno
"Gli astri nascondono segreti.
Ma forse non sono gli unici"


«Non posso credere di averti davvero seguita a una partita di football».

Laya scosse la testa incredula, mentre aspettavamo pazientemente che il flusso di studenti diretti verso il campo da gioco s'interrompesse. Eravamo appoggiate al basso muretto che collegava la scuola dal complesso sportivo, ma nessuna di noi scalpitava all'idea di rimanere sedute sulle gradinate per due ore.

«A me non dispiace, invece» replicò Effie, sorseggiando il suo cappuccino freddo. «È molto meglio guardare il football, di quella lagna del basket».

Sorrisi, grata di avere almeno un'amica che s'intendesse di sport. Per quanto Effie fosse un concentrato di vestiti a sbuffo e capelli intrecciati era anche l'unica tra di noi ad avere un fratello patito di NFL, giochi della playstation e weekend sportivi. Avevamo cercato di imbucarci un paio di volte, perché Lukas Fisher era quanto di più vicino a un dio greco. Sfortunatamente, però, lui ci vedeva solo come le fastidiose amiche della sua sorellina minore. 

«Mi devi una confezione di gelato» mi ammonì Laya, mentre una musica alta risuonava in lontananza. Doveva essere lo spettacolo delle cheerleader e, al pensiero della mia discussione con Madison, la rabbia tornò a incendiarmi le vene. Non l'avevo ancora superata, soprattutto perché a scuola continuava a lanciare battutine acide ogni volta che mi vedeva.

«A me non devi nulla» s'inserì Effie. «Meglio questo, rispetto ai film strappalacrime che scegliete di solito».

Sollevai le sopracciglia, dandole atto dei pessimi gusti miei e di Laya. Lei, però, non sembrava voler stare al nostro gioco. Camminava con le mani insaccate nella felpa e l'espressione polemica che vedevo sempre sul viso dell'Abuelita Lopez, ogni volta che le ricordavo di non credere nell'oroscopo.      

«Non dovresti essere felice?» le chiesi, osservandola meglio. «Ci sarà il tuo cucciolo di golden retriever sul campo».

Laya si bloccò, guardandomi torva. «Il mio cosa?».

«Lui» s'intromise Effie, indicando un punto davanti a noi.

«Buonasera, meraviglie». Philip si staccò dal lato delle gradinate per raggiungerci. «Pronte a tifare per i Leoni di Danvers?».

Impiegai un po' a capire cosa ci fosse di strano in lui. Non portava la divisa della squadra, ma solo un paio di jeans sbiaditi che spuntavano da sotto una felpa larga. «Perché non giochi?» gli domandai.

Philip fece ciondolare la mano. Una vistosa fasciatura si estendeva dalla manica della felpa fino al pollice. «Polso slogato» chiarì allegro, «ma penso che possano farcela anche senza di me».

L'onestà di Philip mi sorprendeva sempre. La squadra di football era famosa per unire i peggiori individui della Lincoln High: un concentrato di maschi alpha che si sarebbero tagliati un braccio pur di non ammettere che non fossero affatto indispensabili. Philip, invece, sembrava essere abbastanza sicuro di sé da fregarsene di quelle autocelebrazioni.

«Andiamo, dai» disse, facendoci segno di seguirlo.

Credevo che si sarebbe diretto verso gli spalti, invece proseguì lungo il campo, dove una schiera di giocatori attendeva l'inizio della partita. Le cheerleader dovevano aver appena terminato il loro spettacolo perché stavano saltellando lungo la linea delle quaranta yard e le squadre si osservavano caute. Una parte di me riusciva a capire perché tutti fossero così su di giri, ma ancora non mi spiegavo perché Christian avesse inserito quella serata nel compito di Nolan.

«Sediamoci qui». Philip indicò la panchina dietro quella della squadra. Di solito era utilizzata dalle cheerleader o dagli altri sportivi della scuola, ma quel giorno era praticamente vuota.

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