prologo

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Passarono due mesi da quando vidi mio padre darsi da fare con la sua collega di lavoro e fu inaspettato: stavo tornando da scuola come sempre, e vidi nel giardino l'auto di papà. Effettivamente mi sembrò piuttosto strano, dato che lui non tornava a casa prima della sera, ma ciononostante non gli diedi troppo peso e mi affrettai ad entrare in casa.

<<Papà?>> domandai, guardandomi intorno, nella speranza di trovarlo.
Non ricevetti risposta, e così mi diressi verso la stanza che definiva come il suo "ufficio".
<<Ho visto l'auto in giardino...>> dissi mentre aprivo la porta.

Ciò che vidi mi fece rabbrividire. Tentai di tirarmi un pizzicotto sul braccio, sperando che non fosse la realtà, ma non fu così. Distolsi immediatamente lo sguardo da quella scena che mi trovavo davanti e senza nemmeno accorgermene, uscii da quella stanza che fino a poco fa non mi era mai sembrata così nauseante.

La porta che avevo lasciato alle mie spalle si aprì:
<<Madison>> disse una voce dietro di me. <<Possiamo parlarne.>>
<<E di cosa?>> mi irrigidii e mi girai per guardare in volto mio padre. <<Non abbiamo niente di cui parlare, papà. Hai distrutto una famiglia.>> in realtà avrei voluto ascoltare ciò che avrebbe avuto da dire, ma in quel momento la rabbia e il dolore ebbero la meglio su di me.

Lo sentii tirare un sospiro. Le lacrime mi pungevano gli angoli degli occhi, ma mi promisi di non cedere, o almeno, non davanti a lui. Per un attimo fu come rivivere tutti i ricordi passati insieme a lui e a mia madre, e nell'esatto momento in cui mio padre provò a ribattere qualcosa, davanti a me ci fu solo il nulla. Cercai il più possibile di ricordare quel momento, ma ero ancora troppo turbata da quel ricordo a tal punto che il mio cervello si spense, facendomi abbandonare a un sonno profondo.

<<Siamo arrivati, signorina.>> l'autista che guidava il taxi mi guardò dallo specchietto retrovisore e io accennai un sorriso per ringraziarlo.

Dormii per tutto il tragitto, nella speranza di riuscire a riposare un po', dato che gli ultimi due mesi furono tremendi: raccontai a mia madre ciò che vidi e lei se ne andò, definitivamente. La supplicai di portarmi con lei, ma non volle. Mi disse che aveva bisogno di prendersi una pausa da mio padre, e che io glielo ricordavo, e per questo decise di lasciarmi lì. A quel punto mi sentii abbandonata anche da lei. Sperai con tutta me stessa che capisse la necessità che avevo di andarmene, ma non lo fece. A quel punto il dolore che provavo era troppo grande.
Non mollare, Madison. Dicevo dentro di me. Mia madre me lo ripeteva sempre, quando ero piccola. Me lo ripeteva quando prendevo un brutto voto a scuola, oppure quando cadevo dalla bicicletta.

In quei mesi continuai e ripetertelo, tutti i giorni. Non mollare, non mollare e non mollare.
Quando tornavo da scuola passavo i pomeriggi con i miei amici, nella speranza di non pensare alla mia vita che piano si disintegrava sempre un po' di più. Tornavo a casa solo per dormire, e quando tornavo, trovavo sempre mio padre seduto sul divano del salotto con una bottiglia di Whisky sul tavolino accanto a lui.

Non avevamo mai avuto un bel rapporto io e mio padre, dopo ciò che aveva fatto anni prima, ma nell'ultimo periodo eravamo diventati degli sconosciuti; quando rientravo la sera non mi chiedeva più come era andata la giornata, e io facevo altrettanto. Non mi degnava più della sua attenzione, e nemmeno di un suo sguardo.

Provavo una rabbia e un rancore enorme nei suoi confronti, ma ciò nonostante rimaneva sempre mio padre, anche se non riuscivo più e definirlo come tale. Si perdeva ogni giorno di più e anche se pian piano provavo a parlargli, da lui ricevevo solo graffi e morsi. Mi diceva sempre che se mamma se ne era andata era stata colpa mia, e da una parte aveva ragione. Forse se io non le avessi detto del tradimento lei sarebbe rimasta, nonostante quello che mio padre le fece prima ancora del tradimento. Come facevo a guardarla negli occhi sapendo che mio padre le aveva fatto una cosa del genere? Tentai di farlo capire a John ma si rifiutava di ascoltarmi.

Questo rapporto che avevamo andava avanti ormai da anni e io non riuscii più a sopportarlo e così tentai in tutti i modi di andarmene. Cercai degli appartamenti e dopo poco riuscii a trovarne uno. Parlai con un ragazzo e mi disse che nell'appartamento in cui abitava con il suo coinquilino c'era spazio per un'ultima persona. A quel punto decisi di ricominciare tutto da capo.

<<La ringrazio>> risposi all'autista.
Scesi dall'auto e dopo aver pagato la corsa presi le valigie. Mi guardai intorno un po' sperduta. Tirai un'ultima occhiata all'autista e mi costrinsi ad andare verso l'entrata dell'appartamento.

Afferrai le valigie e mi incamminai verso l'entrata.
Arrivai al piano che mi indicò il ragazzo e tirai un grande sospiro prima di suonare al campanello.

Qualche secondo dopo sbucò dalla porta un ragazzo. <<Ciao!>> esclamò.
Non riuscii a fare a meno di notare la sua altezza. I capelli castani gli ricadevano sui lineamenti del viso e sotto le sopracciglia marcate splendevano due occhi blu. <<Tu dovresti essere... Madison, giusto?>> domandò con un timbro di voce titubante.
Annuii e gli sorrisi rassicurandolo.
<<Entra, ti aiuto con i bagagli>> mi fece spazio per entrare e prese due valigie.

Presi una borsa ed entrai nell'appartamento. Venni immediatamente sopraffatta da una luce immensa. Le pareti che mi circondavano erano di un bianco lucente e il soggiorno era veramente enorme. Notai subito un divano davanti a un televisore di cui facevano parte Play-station e impianti audio. A dividere il soggiorno dalla cucina c'era una specie di penisola con degli sgabelli intorno. Guardai attentamente i diversi mobili che abbellivvano la stanza e notai che per fare contrasto il pavimento era di un nero opaco. Rimasi incantata da quella zona della casa e non potetti fare a meno che pensare a quanto gusto potessero avere dei ragazzi per arredare in questo modo un'abitazione.

<<Qualche settimana fa credo di aver parlato con te al telefono. Ti chiami Mason, ricordo bene?>> chiesi al ragazzo dietro alle mia spalle.

Sentii davanti a me un timbro di voce marcato <<Io sono Mason.>>
Distolsi lo sguardo dalla borsa e mi concentrati sul ragazzo davanti a me.
I capelli neri gli incorniciavano il viso pallido e i miei occhi scesero nel suo sguardo: mi sentii penetrare fin dentro l'anima da quegli occhi neri che sembravano non esprimere nessun tipo di emozione. Mi sentii improvvisamente a disagio, e fu una sensazione del tutto nuova, per me.

Sentii il ragazzo ancora alle mie spalle ridacchiare. <<Non hai parlato con me al telefono. Comunque, io sono Nathan>> lasciò le valigie e si posizionò accanto all'amico.

Mi morsi il labbro inferiore e guardai i due ragazzi davanti a me.

Ci fu qualche secondo di silenzio e poco dopo i due amici cominciano a parlare tra di loro.

Socchiusi gli occhi per qualche istante e tirai un piccolo sospiro, chiedendomi se fossi finalmente riuscita a ricominciare da capo.

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