Prologo

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Lo sapevo sarebbe finita così, con me sdraiata a terra e un altro cliente a prendermi a pugni in viso seduto sulla mia pancia. Non ho neanche le forza per reagire, e anche se le avessi, non sono nemmeno metà della sua stazza.

«Adesso basta.» gli ordina calmo il suo amico, mentre lo allontana da me.

Finalmente riesco a prendere meglio il fiato ora, ma i colpi di tosse non mi aiutano. Sento gocce di sangue scorrermi sul volto, e sono obbligata a sputarne anche un po' sul ciglio della strada. Sono passate molte macchine, nessuna si è fermata per soccorrermi o aiutarmi. Ormai l'indifferenza della gente non mi stupisce più.

«Quindi debito annullato?» ridacchia sempre l'amico, dopo essersi accovacciato accanto a me.

«Vaffanculo.» cerco di rialzarmi, con tanta fatica. Lui invece mi volta le spalle, e col suo segugio accanto si incammina tranquillo dalla parte opposta.

Non sono in grado di reggermi sulle mie gambe. Mi siedo su un marciapiede, con la schiena appoggiata ad un albero. Infilo la mano in mezzo al seno, dove tengo più banconote. Le conto, delusa. Speravo di riuscire ad accumulare più soldi stanotte. Accanto a me passa diversa gente: anziani, coppie sposate, gruppi di miei coetanei. Tutti mi guardano straniti, nessuno viene a offrirmi una mano. Rimango lì per un po', valuto anche l'opzione di dormire lì. Se non fosse per il freddo delle notti di ottobre. Punto gli occhi al cielo, in mezzo a una di quelle stelle mi ricordo che c'è mia madre a vedermi.

«Tutt'apposto lì?»

Cerco di individuare la provenienza di questa voce, dal forte accento romano, come la mia. Alla mia destra si è accostata un auto verde. Una Lamborghini Aventador, la riconoscerei tra mille. Mi soffermo a guardare la vettura, da vicino è ancora più bella.

«Dico a te.» la stessa voce mi riporta con i piedi per terra. Guardo il ragazzo al volante, e mi stupisco di trovarmi di fronte a Tony Effe.

«Sì, tutt'apposto.» rispondo sicura.

«Che t'hanno fatto?»

«Niente.» mi rimetto in piedi, ma la gamba mi fa ancora malissimo, a malapena riesco ad appoggiarla.

«Ti porto io a casa, vieni qua.»

«Non ho bisogno di un passaggio.» con molto dolore, cerco di camminare normalmente.

Lui accende la macchina, e mi rimane di lato.

«Mi devi seguire?» chiedo innervosita.

«Se sali, no.»

«Non salgo.»

Mi guarda qualche secondo, mentre una mano è al volante e l'altra sulle marce. Controlla che non ci sia nessuno dietro di lui, attraverso lo specchietto retrovisore, poi scende e mi raggiunge.

«Vieni qui.» scandisce, mentre mi apre la portiera, e mi obbliga a sedermi.

Se ci penso bene, sarebbe un grande affare per me se diventassi sua amica. Tutti i miei debiti si cancellerebbero. Non posso farmi scappare quest'opportunità, ne va della mia vita.

«Dove abiti?» chiede, tornato sul posto di guida.

Sto in silenzio, io non ho una vera e propria casa. Non lavorando, non me lo posso permettere. Ogni tanto trovo qualcuno che mi ospita, in cambio di droga o sesso. Di solito trovo riparo in rifugi o insieme ad altri vagabondi. È così da diversi anni. Ma mi vergogno a spiegarglielo.

«È lontana casa mia, e comunque non ci voglio tornare. I miei se mi vedono così m'ammazzano.»

In realtà mia madre è morta quando avevo cinque anni, mio padre non mi cerca da due.

«Allora andiamo da me.»

Come fa a fidarsi di una sconosciuta? Non riesco a smettere di chiedermelo.

«Grazie.»

«Comunque sono Nicolò, te come ti chiami?» rimane comunque concentrato sulla strada.

«Monica.»

«E chi t'avrebbe fatto questo?»

«Due stronzi.» guardo fuori dal finestrino.

«Perché?»

«Non volevano darmi i soldi che mi dovevano.»

«Soldi per..?»

«Vediamo se indovini.» rimango seria.

«Ne hai un po' addosso ora?» mi giro a guardarlo.

«Sì.»

«Dai, tira fuori che fumiamo.»

«Qui in macchina?»

«Che c'ha? Non va bene?»

«Se va bene a te.» alzo le spalle.

Alzo leggermente la gonna, e dalle calze autoreggenti prendo una bustina d'erba. Ormai so a memoria come si rolla una cartina fino a formare uno spinello. Accendo e faccio il primo tiro. Questa sera ne avevo bisogno.

«Fumi mentre guidi?»

«Stai tranquilla, non mi voglio ammazzare. Fumo finché so che la reggo bene.» prende la canna e la finisce metà, lasciando il resto a me.

Il resto non mi importa ||Tony Effe||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora