prologo

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Il fuoco è un'energia pazzesca creata da una possibile scintilla in mezzo all'infiammabile.
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Calore, urla, ferite, dolore, fiamme ovunque.
Era quello che avevo visto e percepito quel giorno, un disastro appiccato dall'uomo, da un uomo stupido e ignorante.
Le grida delle persone foravano le mie orecchie, me le sarei ricordate per sempre. Erano impresse nella mia mente più di quanto avessi pianificato. Stavo per morire anche io, non sapevo come mi fossi salvata.
Guardavo Nive allontanarsi da me, correndo verso la vita, la salvezza; mentre io ero a terra circodanta da delle fiamme, il caldo mi soffocava e il calore mi provocava ustioni.

Mi sentivo stanca e senza forze, questo provocò la mia perdita di conoscenza per un po' di tempo. Quando mi risvegliai ero all'ospedale con mio padre affianco al mio lettino bianco e blu chiaro che dormiva, mi stava aspettando mentre io cercavo con forza di ricordare tutto.
Accennavo solo delle lunghe fiamme arancioni e rosse attorno a me, come un cerchio mortale da cui non sarei uscita facilmente.

Quel giorno non sarei dovuta essere a scuola, ero tornata da poche ore a Chicago. Avevo deciso di andare a scuola per salutare Nive e altre persone che avevo come amici, ma un secondo dopo essere entrata aveva avuto inizio la catastrofe.
Ne rimasi ferita e non ne centrai niente, non sarei mai dovuta andare lì quel giorno.

Ricordai il dolore che le ustioni mi provocarono prima dello svenimento, mi ricordai di star lacrimando. Pensavo che la mia vita avrebbe avuto come fine quel disastro, capo linea.
E poi tutto venne in mente dopo aver perso delle ore a dormire.
Le mie grida d'aiuto, inaudite e insensibili, stavo urlando nella mia testa invece di usare la voce; non ricordavo come ma in qualche modo alla fine riuscì a dare rumore ai miei pensieri.
Era una brutta esperienza da vivere, non l'avrei augurata a nessuno.
Poi vidi un'immagine nella mia testa, un uomo, o meglio pompiere; arrivò davanti a me e sorpassò il cerchio ormai ristretto. Si chiudeva sempre di più e io ero immobile, incapace di muovermi a causa del dolore delle fiamme sul mio corpo.

Mi sollevò dal pavimento freddo e gelido e mi portò fuori con una certa fretta.

«È viva!»

Urlò il ragazzo avviandosi verso una barella rossa, mi ci poggiò sopra e io rimasi a guardarmi attorno.
Avevo ripreso conoscenza e avrei preferito non vedere, i miei amici erano tranquilli e non mi degnavano di uno sguardo.
Gli unici che sapevano i miei problemi di fiducia mi avevano tradito, gli unici con cui mi ero confidata erano lì a fottersene del mio stato d'animo, del mio dolore, dei miei traumi, delle mie ustioni e soprattutto del mio sguardo verso di loro.

Da quel giorno promisi che non mi sarei più fidata di nessuno, non sarei stata più ingenua e mi sarei fatta valere senza fare la buona, come sempre.
Avevo dato la mia parola alla farlafalla che svolazzava impanicata sopra di me, intenta a spegnere le piccole fiamme sul dorso delle sue ali.
Era stata presa anche lei, ed era arrivata al suo capo linea.

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Ignis facit bonaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora