Capitolo 1

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Il sole splendeva, niente alternativa, niente di nuovo. Le nuvole erano di un bianco candido e si muovevano con calma, come se dovessero spezzare ogni fretta nel mondo. Più le guardavo e più avevo voglia di andargli incontro.
Sentivo gli uccellini che con il loro linguaggio creavano un sottofondo di pace, che avrebbe alleggerito la giornata a chiunque. Mi sembrava quasi che quei piccoli animaletti mi sorridessero mentre cercavano di farmi capire i loro versi, facendoli sembrare quasi semplici.
Era da giorni che volevo fare un viaggio con la mia famiglia, uno di quesì viaggi che la mente tiene stretto e così non te lo fai mai dimenticare.
Ero la più piccola della famiglia e questo certe volte comportava ad avere meno impegni e quindi anche ad adattarmi e accettare che non sempre potevo decidere io. Quel giorno però era talmente bello che aveva convinto tutti a vivere senza pensare agli impegni, senza la fretta dell'oggi.
Mia mamma, fin da quando era più piccola di me, veniva portata in una foresta che non ci aveva mai descritto accuratamente, ma la definiva incantata; diceva che il mio nome le ricordava quel luogo e ogni volta che lo pronunciava si sentiva li, in pace. A me inizialmente non piaceva come nome, troppo particolare, ma vedendo mia madre così felice, negli anni cominciai ad amarlo. Anche per i miei fratelli non era un nome da disprezzare, sono che per loro Calliope era lungo, così mi avevano soprannominato Callie.
A mia mamma non servirono tanti tentativi per convincerci ad andare in quella magica foresta; del resto tutti volevano scoprire come fosse fatta. Neanche mio padre l'aveva mai vista, ed era più curioso di me.
In macchina guardavo dal finestrino il panorama e capivo che ci stavamo avvicinando in un luogo ai confini della realtà. Nella mia mente immaginavo di tutto, in certi casi anche ciò che non era una foresta. Ad un certo punto, proprio mentre stavo socchiudendo gli occhi per ripostate, sentii la macchina fermarsi dolcemente e mia mamma con voce gioiosa, dirci che eravamo arrivati. Appena provai a fare un passo la stanchezza mi si accumulo sulle gambe, che quasi stavano per cedere. Mi vide mio padre e mi prese incollo; appoggiai la testa sulla sua spalla, e alzai gli occhi per vedere la foresta. Quest'ultimi si illuminarono di stupore e la stanchezza passò in secondo piano. Mia mamma era più bambina di me. Mio padre mi lasciò a terra e pensai di non meritarmi quel nome. La foresta aveva una lunga strada asfaltata, dove ai lati c'erano enormi ed imponenti alberi che formavano un arco sopra le nostre piccole teste.
Ci incamminammo per quella strada mentre commentavamo stupiti ogni singolo dettaglio che facesse sembrare la foresta incantata. Dopo un po' che camminavamo, sulla destra della strada vidi un'enorme campo verde dove non c'era nessuno, ma l'erba era comunque tagliata perfettamente. Mia mamma guardò l'orologio e propose di fermarci lì a pranzare.
Si respirava un'aria di pace e mi sembrava quasi che gli uccellini che avevo sentito stamattina mi avessero seguita e si fossero uniti ad altri simili per creare un sottofondo ancora più potente. Era un luogo semplice, senza molto intorno, ma non era definibile noioso, perché la natura, i versi degli animali, gli odori, il suono lontano dell'acqua, quelle cose mi facevano stare in pace, quelle cose mi facevano sentire inclusa senza che nessuno mi dovesse parlare.
Mentre mangiavo esaminavo tutti i miei familiari: mamma aveva un sorriso e una gioia immensa che non sarebbe mai andata via, unita ad una calma che nella quotidianità provava ad avere, ma dato che il lavoro e i suoi diversi impegni le facevano paura era raro vederla così calma. Io ero proprio la sua copia: estroversa con chi conoscevo, ma molto timida con chi conoscevo poco o punto. Inoltre anche io avevo assaporato la sua stessa paura, perché non sapevo gestire le emozioni. Noi due ci capivamo con uno sguardo e, dato che gli opposti si attraggono ma amano i propri simili, noi ci volevamo molto bene. La mamma mi faceva sorridere e mi raccontava le storie con una passione che mi faceva dubitare che non se l'è studiasse prima.
Mio fratello, il più grande di noi tre, era invece molto simile a mio padre; riusciva a "buttarsi" occasioni che la vita gli dava, senza pensarci troppo, perché diceva che se ci pensava diventava paranoico e non si godeva la vita. Lui, però, aveva anche preso la comprensione da mia madre, e, se vedeva qualcuno stare male, non pensava mai che quella persona fosse esagerata o volesse attirare l'attenzione, ma ti prestava un po' di calma, facendoti vedere il suo lato migliore. Mi ero soffermata qualche secondo su tutti, sperando che non mi notassero; era andata bene a parte mia mamma che era un po' arrossita. Stavo guardando mio fratello di mezzo e anche lui aveva cominciato a guardarmi; così mi ero girata di scatto e lui, senza farsi notare mi aveva abbracciato da dietro. Poi mi sussurrò:
"Allora, che ne pensi, ti piace questo posto?"
Io lo avevo riguardato mentre con un sorriso gli avevo fatto capire di sì. Poi aveva guardavo mio fratello e aveva detto:
"Ehi, cosa ne pensate se facciamo una partita a nascondino?"
Mio fratello di mezzo era scattato in piedi e si era messo a correre urlando:
"Chi arriva ultimo conta!"
Tutti e tre avevamo cominciato a correre meglio che potevamo, non tanto per non contare, ma perché correndo sentivi la libertà scorrerti nelle vene.
Senza rendermene conto ero arrivata prima e uno dei miei fratelli si era messo a contare.
Ma proprio con quel senso di libertà, pace e forse troppa fiducia mi ero distratta, e ero caduta. Sentivo la testa pulsare come non mai, il respiro andarsene per essere rimpiazzato da un'enorme paura portata dalla morte. Ero certa che sarei morta, mentre riformulavo la mia storia per qualunque cosa avessi avuto davanti. Chiusi gli occhi immaginandomi un angelo che mi prendeva la mano, mentre mi diceva che oramai era tardi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 01, 2022 ⏰

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