<Uno di quei giorni, un giorno normale, stavo passeggiando con la mia morosa.
Di lei non avevo detto nulla a nessuno. L'ultima domenica del mese avremmo fatto una cena in famiglia e avrei fatto una sorpresa.
Chiacchierammo a lungo, lei mi faceva tante domande, adoravo il suo modo di farle: sbloccare piccoli tasselli di qualcuno, la lenta composizione di un mosaico.
Spesso aveva quest'espressione vuota, con gli occhi persi nell'ignoto.
Pensi che facevamo tante cose insieme. Cose carine. Andavamo in panetteria. La donna del pane ci aveva presi in simpatia, e ogni volta ci regalava dei biscottini al burro. Amavamo stare abbracciati vicino alla finestra mentre il sole si spegneva nel rossore della sera. E in quelle sere, parlavamo di tutto! Quanto mi insegnava. Una volta mi disse che le opere come quelle di Magritte o di Shiele, quelle che possiedono un certo tipo di imperfezione, di follia, possono attrarre proprio a causa della loro imperfezione. O quantomeno possono attrarre un certo tipo di persone.
Senta, mi sono sempre odiato... ma quando ero con lei non mi odiavo più. C'erano periodi in cui entrambi lavoravamo troppo e non ci vedevamo per una settimana di seguito, che era davvero troppo. La sensazione di angoscia si riacutizzava in sua assenza , essere lasciato da solo con me stesso, per poi sciogliersi definitamente al suo ritorno, al primo accenno di saluto. Mancava una settimana alla imminente cena in famiglia. Ci incontrammo nel pomeriggio, uno di quelli piovosi. E quando arrivai da lei mi pareva proprio sfiorita: pallidissima, aveva due occhiaie lividissime e sopra quelle degli occhi come di qualcuno che aveva pianto a lungo. Evidentemente era da un po' che non dormiva, o che non rideva, ma di queste peripezie mentali non me ne parlò mai. Gli bastarono bastati cinque minuti per convincermi che andava tutto bene.
Ora che ci penso sapevo proprio poco di lei. Per dire, non sapevo niente della sua famiglia, non le chiesi mai delle sue allergie, o del suo tipo di gelato preferito, anzi credo che il gelato non le piacesse affatto.
Comunque, passò una settimana e si fece domenica. Dovevamo fare colazione insieme... senta, sappia che continuare mi duole tanto, ma continuerò perché seno sarà tutto inutile!
Allora, visto che sotto casa sua, dove ci saremmo dovuti incontrare, non c'era, presi l'ascensore e aprii la porta con le chiavi, che tempo prima mi aveva dato, e andai in camera sua. Eccola lì accasciata sul suo letto; per un breve secondo credetti che fosse tornata a dormire; dopo tutto, sarebbe stata un ottima risoluzione, si sarebbe svegliata e dopo una bella colazione saremmo andati al pranzo in famiglia! Peccato che mi sporsi e la vidi: la cintura avvolta intorno al suo collo. Quando compresi che non c'era nulla da fare, improvvisamente ebbi paura. Un terrore primordiale come una corrente gelida che sale silenziosamente dal pozzo senza fondo della memoria. Una corrente che penetrò fino alla radice del mio essere. Sgomitai tra le mura del suo palazzo mentre correvo per cercare aiuto.
Quando risalii, però, senta non ci potrà credere, la porta che avevo lasciato aperta era chiusa, allora provai con le chiavi ma non funzionarono. Ad un tratto aprì la porta una signora, ma quella non era più casa della mia morosa; in quel momento tempo non ci potevo credere, allora mi fiondai alla panetteria dalla signora. Le chiesi se si ricordava di noi, di noi e dei biscottini al burro, ma lei sembrava che non capisse ciò che dicevo, mentre bisbigliava all'assistente che io fossi un pazzo. Allora andai dalla polizia implorando di credermi. Ma quello che fecero è mandarmi qua. Ed eccomi qui a parlare con lei, dottore>
Allora il dottore si tolse gli occhiali e con fare interdetto si rivolse al moroso: <scusi, lei è da mesi che sta in questo ospedale psichiatrico, per tutto questo tempo non ha osato parlare, la mia domanda è, perché?> e così il matto con il più feroce degli sguardi rispose: <perché di lei come ho detto non rimane nulla, quell'ignoto in cui i suoi occhi si perdevano l'ha inghiottita a sua volta e di lei restano solo parole, quelle che ho pronunciato a lei, signore. Ma tutti, anche lei credete sia matto, ma i pazzi siete voi! Voi che vivete in quella che chiamate realtà, l'unica follia è quella della ragione. E se tanto disprezzate quelli come me, ecco che per ripicca le tramando la mia pazzia!> e quando il medico posò lo sguardo da un altra parte il matto scivolò nel ignoto.
Non rincontro mai la sua morosa, ma la sua lacerante follia si spense.
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Il monologo del moroso
Short StoryUn racconto di genere fantastico che ho dovuto fare per scuola