Capitolo 1

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Hayun.

Quel nome comparve sul suo telefono. Lo lasciò vibrare. Poi la chiamata si interruppe.

Lui sapeva cosa voleva. Erano settimane che lo chiamava. E lui non rispondeva perché, semplicemente, non sapeva dirle di no. Se avesse sentito la sua voce, sarebbe crollato, avrebbe fatto tutto ciò che gli avrebbe chiesto. Lo sapeva lui e lo sapeva lei. Per questo motivo il telefono si illuminò di nuovo.

Lo stava chiamando, ancora. Girò il telefono, rivolgendo lo schermo verso il basso, così da non leggere il suo nome.

"Senti, è la quinta volta, da quando siamo insieme, che qualcuno ti chiama, è tu rispondi sempre. Qual è il problema?" chiese Hoseok, il suo amico, mentre teneva in mano il suo caffè, per riscaldarsi dal freddo di quella giornata di ottobre inoltrato.

Namjoon si morse l'interno della guancia, non volendo rispondere al ragazzo che aveva davanti. "Nessuno", si limitò a dire. Hoseok alzò un sopracciglio, guardandolo da dietro gli occhiali scuri. Il telefono smise di vibrare, Namjoon si rilassò e prese un sorso del suo caffè, che ormai si era freddato.

Guardò il locale in cui era andato a prendere una bevanda con il suo amico, con il quale però non aveva scambiato molte parole. Gli piaceva Hoseok, era una persona con la quale non dovevi per forza parlare di qualcosa per stare bene. Pensò a cosa avrebbe dovuto fare in quei giorni, alla spesa, al fatto che doveva innaffiare le sue piante, alle bollette da pagare, a...

Non riuscì a concentrarsi, la vibrazione del suo cellulare era troppo insistente.

"Rispondi, è fastidioso e io ho un'emicrania della Madonna. Se non rispondi giuro che ti distruggo il telefono!" sbottò Hoseok, facendo girare quei pochi clienti del bar verso di loro.

Namjoon si alzò, prese il telefono e cliccò sul tasto verde, avviando la chiamata, portò il dispositivo all'orecchio e si allontanò dal tavolo, avviandosi verso l'uscita a grandi passi, passando tra i tavolini neri, quasi tutti vuoti. "Pronto?"

E la sentì, sentì la voce che già una settimana prima l'aveva chiamato, e una prima ancora, e ancora. "Joonie", salutò dall'altro lato, "che ti piaccia o no, io sto venendo a Seoul. Se non vuoi ospitarmi, dormirò sotto ai ponti."

Namjoon rimase spiazzato. Avere sua sorella a casa sarebbe stato troppo, per lui. Per questo l'aveva evitata per giorni. Ma doveva aspettarselo: la piccola era cocciuta.

Il ragazzo passò una mano tra i suoi capelli biondi, pensando a cosa dire. Almeno, provandoci, ma la sorella fu più veloce di lui. "Solo qualche settimana, se non trovo lavoro me ne vado."

"E se lo trovi?"

"Il tempo di mettere da parte qualcosa, e affitto una casa."

"Hayun..."

"Namjoon, sto impazzendo qui con mamma e papà. E sono già in treno. Sono scappata."

"Cosa, scusa?" Namjoon strabuzzò gli occhi, incredulo alle parole della sorella.

"Sì, quindi penso sarebbe meglio se sapessero che sto con te, piuttosto che chissà dove."

Sapeva essere manipolatrice. Questo era uno dei motivi per cui Namjoon non la voleva lì, oltre al fatto che gli sarebbe stata perennemente tra i piedi. Era l'unica ragazza alla quale non sapeva tenere testa, ed era tutta colpa sua, del fatto che l'aveva sempre lasciata vincere perché, infondo, era il suo punto debole.

Pensò a casa sua, al casino che era, e al fatto che non aveva quasi nulla nel frigo. "A che ora vieni?"

Aveva ceduto, e sapeva che la sua sorellina dall'altro capo del telefono stava sorridendo, trionfante.

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