Il dolore

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Ora potrò baciare solo in sogno

le fiduciose mani...

e discorro, lavoro,

sono appena mutato, temo, fumo...

come si può ch'io regga a tanta notte? ( da G.Ungaretti, "Il dolore")


Gli ultimi, intensi e rossastri raggi di sole illuminavano con una luce surreale le cime degli alberi e dei tetti. Le ombre si erano ormai allungate ed il pomeriggio volgeva al termine. Un alto recinto e un fitto boschetto nascondevano una splendida tenuta di campagna. Al bordo di una piccola piscina, su una sedia a sdraio a righe bianche e blu, una ragazza con un caschetto di capelli bruni, un costume vintage e grandi occhiali da sole leggeva con aria svogliata. Pansy Parkinson sbuffava, scorrendo rapida le notizie del Profeta e sorseggiando il suo the al limone.

Era già la fine di agosto: mancavano quattro giorni all'inizio di settembre, alla riapertura della scuola ed al suo quinto anno.

Come si dice in questi casi? Ah sì, "le vacanze sono volate, mi sembra quasi che siano iniziate ieri, e invece...!" Già, certamente. Condivideva anche lei. Ma non nel senso che intendeva la maggior parte delle persone. Avrebbe ricordato quell'estate, ma non perché fosse stata allegra, spensierata o divertente. Tutt'altro.

Non erano bastati gli eventi di maggio, con la morte a scuola di quel povero ragazzo di Tassorosso, Cedric o qualcosa del genere, e Potter che riemergeva dal labirinto, insanguinato e disperato, raccontando un'incredibile storia di terrore alla quale Silente non aveva esitato a credere. Per lei il peggio doveva ancora venire.

Da tre settimane il suo amatissimo nonno l'aveva lasciata. La persona a cui era più legata in assoluto dopo i genitori ed il fratello, l'uomo che l'aveva cresciuta, aiutata e compresa, un esempio in tutto per lei, non c'era più. Pansy era dovuta tornare a casa in fretta e furia subito dopo il funerale di Cedric, lasciando senza una spiegazione i suoi amici alla stazione di King's Cross. Ma non c'era tempo per le parole. La lettera che le avevano spedito i suoi genitori lasciava poco spazio ai dubbi. Da ormai un anno e mezzo il nonno soffriva di un male incurabile, ma il peggioramento era ormai evidente ed inarrestabile. A Pansy non era rimasto altro da fare se non tornare a casa, facendo costantemente la spola tra la Manor di famiglia e quella dei nonni, cercando in qualche modo di aiutare i suoi genitori e di non farsi travolgere dalla tristezza e dal dolore. Se chiudeva gli occhi, non riusciva ancora a capire come aveva potuto sopportare quel tremendo mese di agonia.


Quattro settimane a cercare di non guardare la progressiva immobilità del nonno, che prima non poteva più camminare, poi mangiare, poi parlare per bene.

A sorridere davanti a lui e poi scappare a piangere negli angoli bui.

A fare tutto di corsa ben sapendo che qualunque sforzo sarebbe bastato soltanto per alleviargli il dolore della fine.

Fino al giorno della morte, al funerale sotto un sole che spaccava le pietre. Fino al niente che tutto ciò aveva lasciato dentro di sé.


Come aveva passato queste tre settimane? Una domanda inutile. Tecnicamente si era trasferita con i suoi genitori nella tenuta di campagna di famiglia, per provare a fare almeno un po' di vacanze. Ma, se si sforzava, Pansy non riusciva a ricordare che cosa avesse fatto. Forse leggere, nuotare in piscina e passeggiare. E poi?

Pensare...no, decisamente era un eufemismo. Quello che aveva fatto assomigliava di più a un farsi coraggio, ad un aspettare non so cosa... per ottenere, come risultato, solo quello di perdere qualsiasi voglia. Di uscire, di sorridere, di fare.

Il cielo ha una porta solaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora