Questa storia è scritta da : Ilaria
Come ogni mattina, la famiglia Lightwood era riunita intorno al tavolo per la colazione. C’era pace, almeno fino al momento in cui Thomas entrò correndo in sala da pranzo.
“Muoio di fame!” ululò con la voce ancora indecisa tra il ragazzo che era e l’uomo che sarebbe diventato a breve.
Eugenia e Barbara non si curarono di nascondere l’espressione annoiata nei confronti del fratello, sempre esuberante quando si trovava tra le mura di casa. A Sophie bastò uno sguardo per riportare le ragazze a un’espressione neutra.
Thomas era ancora piccolo, per la sua età. Era stato un bambino fragile e Sophie aveva temuto più volte di perderlo; senza contare la paura del ragazzo di restare basso mentre i suoi coetanei diventavano, per dirla con le sue parole, “dei giganti”.
“Siediti a tavola, Thomas,” intervenne Gideon con la sua voce pacata, l’unico che riuscisse davvero a contenere l’entusiasmo del ragazzo.
“Voglio una montagna di scones!” ribatté Thomas.
Sophie ridacchiò e Gideon arrossì, come ogni volta. Quella mattina, Thomas lo notò per la prima volta, insieme agli sguardi ammiccanti delle sorelle. Guardò la sua famiglia senza capire, ma quando Sophie gli riempì il piatto di scones dimenticò tutto quanto per tuffarsi sul cibo.***
“Thomas, cosa vuoi per merenda?” chiese Sophie affacciandosi alla porta della camera di Thomas.
Il ragazzo stava finendo di preparare i bagagli per tornare all’Accademia; sembrava solo ieri che Gideon cercava di convincerlo ad andarci. La sua salute era sempre stata precaria e Sophie non era stata molto convinta che frequentare l’Accademia fosse una scelta saggia; ma a quanto pare Gideon aveva avuto ragione. Thomas si era fatto una piccola cerchia di amici e, per quanto restasse timido e non fosse cresciuto granché in altezza, l’esperienza l’aveva reso un pochino più sicuro di sé.
“Niente, mamma, sto bene così,” ripose un po’ intristito.
C’era qualcosa che lo tormentava, Sophie lo vedeva nei suoi gesti, nel broncio appena accennato. Rimase sulla porta, in attesa che suo figlio elaborasse e si confidasse. Non era sicura di essere la persona giusta, in quel momento, per una confidenza. Thomas aveva ormai quattordici anni, forse sarebbe stato più a suo agio con Gideon.
D’improvviso, gettò sul letto la camicia che stava cercando di piegare e sbuffò. Sophie si fece avanti e si sedette sul letto.
“C’è qualcosa che ti tormenta, Thomas?” chiese gentilmente, sperando di non risultare troppo invasiva.
“Non sono capace di piegarle decentemente, le camicie, tutto qui,” rispose piccato lui.
Sophie sospirò internamente. Gli adolescenti e i loro drammi.
Ricordava ancora perfettamente le scene teatrali di Will quando aveva più o meno l’età di suo figlio; anche se, a dirla tutta, la situazione di Will era stata decisamente più complessa. Ma la sofferenza è sempre tale e sembra insormontabile a quell’età, sia che si tratti di un abito rovinato, sia che si tratti di una presunta maledizione demoniaca.
“T’insegno a piegarle, tesoro, a patto che tu sia sincero con me e mi dica cosa ti rende così scontroso,” riprese Sophie in tono educato, pronta a non farsi piegare dalle turbe umorali dell’adolescenza.
Thomas si fermò in mezzo alla stanza, preso alla sprovvista. Evidentemente, la tattica di sviare l’attenzione di sua madre sul suo umore non aveva funzionato. Lasciò cadere le spalle e abbassò lo sguardo a terra.
“In questi mesi non sono cresciuto per niente, gli abiti dello scorso anno mi vanno ancora perfettamente,” disse quasi sussurrando.
Sophie alzò gli occhi al cielo. Sapeva che l’argomento lo metteva in difficoltà, ma ogni ragazzo ha i suoi tempi di crescita e lei era sicura che Thomas si sarebbe infine sviluppato in un giovane uomo robusto, come suo padre; aveva solo bisogno di più tempo degli altri.
“E dunque?” rispose, sorridendo dolcemente.
“E dunque resterò piccolo e gli altri diventeranno giganti e io sembrerò sempre un ragazzino,” alzò la voce Thomas. Nelle sue parole, nel suo tono di voce, s’intuiva tutta l’angoscia che provava.
Sophie sentì stringersi il cuore, ma mostrare pietà in quel momento non sarebbe servito a nulla. Doveva dare a suo figlio gli strumenti per capire che l’altezza non era tutto, che aveva altre doti da sviluppare.
“Hai ancora tempo per crescere, Thomas,” disse mentre il ragazzo sbuffava. “E se anche fosse che non diventerai un gigante come dici tu, ci sono altre doti che puoi sviluppare.”
Thomas la guardava in bilico tra una crisi di nervi e una crisi di pianto, ma Sophie non si fece scoraggiare.
“Sei un ragazzo intelligente, puoi imparare a sfruttare la tua intelligenza e diventare uno stratega come tuo zio Will. Sei veloce, perché sei più leggero dei tuoi coetanei: puoi allenarti a sviluppare la precisione nel combattimento e rendere inoffensivi i tuoi avversari. Devi solo cercare i tuoi punti di forza e concentrarti su quelli. Non sarà l’altezza a darti quello che senti mancarti ora.”
Thomas la guardava a bocca aperta. Sapeva che quelle parole avrebbero sopito per poco il disagio del figlio, ma doveva dirle, doveva mostrargli che non tutti nascono con le stesse doti e che solo conoscere se stessi e accettarsi l’avrebbe portato ad essere in pace con il mondo intorno a sé.
Il ragazzo accennò un sorriso e Sophie sentì che anche quella volta aveva fatto qualcosa di buono per suo figlio; ma proprio in quel momento spuntarono dal corridoio Barbara ed Eugenia. Sperava che non rovinassero il delicato lavoro sull’autostima di Thomas.
“Ma se mangi una tanti scones diventerai come papà, anzi più alto ancora!” disse Eugenia ridendo.
E Barbara rincarò la dose: “Una montagna di scones,” dichiarò ridendo a più non posso.
Sophie non riuscì a trattenere un sorriso a quell’espressione, ma fu la mossa sbagliata. Thomas vide il sorriso e tutto il discorso fatto poco prima si dissolse in fumo.
“Andate via, tutte!” urlò, ferito dalle parole delle sorelle e dalle risate che non poteva ancora capire.
Sophie si alzò, guardando minacciosa le ragazze. Uscì dalla stanza mentre Barbara ed Eugenia chiedevano scusa, ma Thomas non stava più ascoltando; spinse la porta per chiuderla, facendola sbattere.
Sophie guardò le sue figlie con occhi severi. “Adesso, signorinelle, siete in punizione tutt’e due!”
“Ma mamma, stavamo solo scherzando!” piagnucolò Eugenia.
“Uno scherzo che ha fatto arrabbiare vostro fratello. E siete abbastanza grandi per capire quando è il caso di scherzare e quando no,” rispose seria Sophie. “Venite con me, per il resto della settimana preparerete la merenda a Thomas.”
“Io odio fare gli scones, mamma,” disse petulante Barbara.
“Dovevi pensarci prima, signorina,” ribatté inflessibile Sophie.
Qualche ora dopo, un vassoio di scones era pronto per Thomas. Vista la situazione, Sophie pensò che non fosse il caso di forzare il ragazzo a uscire dalla stanza, così lo fece portare dalle ragazze davanti alla porta. Avrebbe deciso lui se e quando aprire.
La sera il vassoio era di nuovo davanti alla porta, vuoto. Sophie sorrise e pensò che aveva fatto centro anche quella volta.
La scena si ripeté per i tre giorni successivi, ma al quarto giorno, l’ultimo che Thomas avrebbe trascorso a casa prima di tornare all’Accademia, Sophie bussò alla porta della stanza del figlio.
“Thomas, vieni a cenare con noi, per favore,” disse tranquillamente.
“Non voglio vedervi, vai via!” giunse attutita la risposta di Thomas.
“Devo mandare tuo padre? Preferisci parlare con lui?” tentò Sophie.
“Non voglio parlare con nessuno, voglio stare da solo!” rispose il ragazzo.
Sophie sentì rabbia e frustrazione montarle dentro, ma affrontare Thomas da sola avrebbe voluto dire rischiare una lite; senza la presenza calma di Gideon sarebbe stato tutto molto più difficile.
Andò a chiamare suo marito e gli spiegò la reazione del figlio. Gideon sorrise, come se sapesse esattamente come si sentiva Thomas. Poi prese per mano la moglie e si avviarono verso la stanza del ragazzo.
“Thomas, posso entrare?” chiese Gideon.
Dall’altra parte rispose il silenzio.
“Thomas, rispondi. Ho bisogno di parlare con te, quindi o esci tu o mi fai entrare,” disse sempre con calma Gideon. Sophie si rese conto che se fosse stato per lei avrebbe abbattuto la porta e fatto una strigliata a suo figlio.
Si udì un clic, la porta che veniva aperta. Gideon guardò la moglie sorridendo ed entrò nella stanza.
Non c’era niente fuori posto: i bagagli erano pronti, la stanza era in ordine, il letto era rifatto. Sophie si era aspettata di trovare un caos, come se la rabbia del ragazzo si fosse dovuta necessariamente sfogare sugli oggetti che lo circondavano. Invece era tutto in ordine.
Tutto, tranne l’espressione di Thomas. Colpevole. Di cosa, Sophie non ne aveva idea.
Stava seduto sul tappeto davanti al letto, le spalle appoggiate alla struttura del letto, le braccia larghe e le mani posate a terra.
Gideon guardava il ragazzo e poi Sophie, con la silenziosa richiesta negli occhi di spiegazioni.
Sophie rimase interdetta per qualche secondo, poi ebbe un’illuminazione. Rapida come una saetta, si spostò accanto al letto e s’inginocchiò sollevando le coperte, proprio mentre suo figlio urlava “NO!”
Sotto il letto c’era una montagna di scones.
Sophie rimase immobile per un istante molto lungo, indecisa se urlare o scoppiare a ridere. Infine il riso ebbe la meglio.
Si sedette a terra, ridendo fino alle lacrime e guardando Gideon, che era sempre più perplesso. Infine, l’uomo ebbe il coraggio di chiedere: “Sophie, tutto bene?”
Lei, cercando disperatamente di smettere di ridere, fece un cenno di assenso con il capo; poi, prendendo fiato, esclamò: “Non ci sono dubbi che sia tuo figlio!” e riprese a ridere.
Gideon si fece ancora più confuso e anche Thomas, a quel punto, non capiva più cosa stava succedendo.
“Vieni a vedere, Gideon,” disse con voce strozzata Sophie.
Gideon si avvicinò alla moglie e si piegò sulle ginocchia. Vedendo gli scones sotto al letto, borbottò qualcosa arrossendo; Sophie gli prese la mano e lo guardò sorridendo, facendo sorridere anche lui.
Thomas, risentito dall’essere stato escluso per l’ennesima volta da uno scherzo che non riusciva a capire, disse: “Pensate di fare ridere anche me o…?”
Sophie si alzò, sorridendo e tenendo per mano Gideon, e rispose: “Lascio questo onore a tuo padre! Tra mezz’ora è pronto in tavola.” E si voltò, riprendendo a ridere sommessamente.
Gideon la guardò andare via con gli occhi di chi non crede ancora alla propria fortuna, finché Thomas non interruppe il suo sogno ad occhi aperti.
“Papà, mi dispiace…io…”
Gideon si voltò a guardare il figlio. Conosceva la rabbia, la frustrazione, e anche la vergogna, che il ragazzo provava in quel momento.
“Aiutami a levare da sotto il letto quella montagna di scones,” disse cercando di restare serio.
Il ragazzo s’inginocchiò accanto a lui, prendendo l’attizzatoio per raggiungere gli scones più lontani. Gideon si allungò sotto il letto e ridacchiò.
“Mi racconti questo scherzo sugli scones? Mi sento sempre scemo quando ridete e io non capisco,” disse cupo Thomas.
Gideon guardò il figlio raccogliere gli ultimi scones e disse, arrossendo leggermente: “Siediti, ragazzo, andremo un po’ per le lunghe…”
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Piccoli momenti shadowhunters
Fiksi PenggemarContest di scrittura creativa Ogni settimana tante storie con protagonisti sempre diversi. Votate la vostra preferita