24. Nove settembre.

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Era passata poco più di una settimana dal mio compleanno e Noah aveva trascorso ogni giorno insieme a me.
Mi aveva spiegato che il giorno del mio diciottesimo era pensieroso perché temeva di sbagliare pronunciando quel "ti amo", quando in realtà mi aveva inconsciamente regalato la constatazione più bella di tutta la mia vita.
Avrei portato quel momento nel mio cuore per sempre.
Sarebbe rimasto inciso nella mia mente fino a quando quel tragico momento che tutti chiamano "morte" non mi avrebbe portata con sé in eterno.

In quei giorni ci eravamo coccolati, avevamo incastrato le nostre pelli abbronzate tra le sottili lenzuola colorate perdendo il senso del tempo.
Avevamo ignorato le suonerie dei nostri cellulari, avevamo persino dimenticato di metterli in carica e per questo motivo sparimmo dalla circolazione per una settimana.
Avevamo bisogno di questo tempo per noi stessi.
Avevamo messo da parte tutto quanto così in fretta che Noah si era dimenticato di dirmi che il suo compleanno era appena passato.

Non riuscii mai a comprendere se in realtà non me lo disse perché non voleva festeggiarlo o perché si era veramente dimenticato, ma non insistette mai su questo argomento. Quando provavo a chiedergli se volesse una torta o una festa, anche se purtroppo in ritardo, scuoteva sempre la testa in senso negativo e cambiava argomento lasciandomi intendere che non aveva voglia di parlarne.

Anche quella mattina Noah stava preparando uova strapazzate e bacon per me e una tazza di caffè per sé.
Amava fare colazione col caffè, mentre io riuscivo a berlo solo la sera quando non potevo addormentarmi mentre studiavo un nuovo spartito di violino.
Il mio cellulare, che finalmente mi ero degnata di mettere in carica dopo un'intera settimana, iniziò a vibrare sul marmo grigio illuminando un nome che non avrei immaginato più di vedere.
Era Lucy.
Risposi cauta, pronunciando un “pronto?” incerto.

«Alla buon'ora! Dio Santo, è una settimana che provo a contattarti» mormorò scocciata, senza però darmi il tempo di ribattere.
«Esattamente sette giorni fa è stato il compleanno di Noah, ma penso che tu questo lo sappia già» prese una piccola pausa in cui sentii una voce maschile sussurrarle qualcosa.

«Ryan ed io avevamo pensato di organizzare una piccola festa, non troppa gente e buona musica. Siccome quello smidollato del tuo ragazzo non risponde mai, raggiungeteci questo pomeriggio allo skatepark. Non accetto un "no" come risposta. Buona serata bella» accennò una risatina e chiuse la telefonata.

Noah controllò il nome sullo schermo ed incrociò le braccia al petto sollevando un sopracciglio.
«Che voleva?» percepii la sua rabbia anche a distanza di qualche metro, ma sollevai le spalle e iniziai a mangiare la mia colazione.

«Ci ha invitati allo skatepark oggi pomeriggio. In realtà ci ha praticamente obbligati, ma facciamo finta fosse un invito» ridacchiai notando la sua espressione corrucciata.
«Oh dai, Noah. Ci servirebbe proprio uscire un po' di casa, siamo confinati qui da una settimana» sorrisi avvicinandomi alla sua figura rigida dall'altro capo del tavolo.

Ci pensò su un attimo, dopodiché acconsentì.
«Va bene, andremo allo skatepark. A patto che tu stia lontana da lei» fece il suo solito sorrisetto furbo, dopodiché mi superò ed entrò in bagno.
Aveva vinto e lo sapeva bene.
Sbuffai e iniziai a mettere in ordine la cucina, poi corsi sotto la doccia.

Il getto dell'acqua calda mi tranquillizzò in un attimo.
Anche da bambina, quello era uno dei pochi metodi che avevo per rilassarmi.
Entravo lì, spesso vestita, e mi sedevo sul piatto della doccia lasciando che l'acqua scorresse sul mio corpo come fosse il letto di un fiume.

Ci misi quindici minuti esatti, poi diedi inizio alla solita ed incessante routine: mi asciugai con un panno bianco, misi l'intimo, corsi in camera in punta di piedi, aprii la cabina armadio e scelsi cosa indossare.
Sapevo che l'uscita era programmata in funzione del compleanno di Noah, quindi volevo mettere un qualcosa di diverso rispetto al solito, ma allo stesso tempo ero consapevole del fatto che il luogo sarebbe stato lo skatepark.
Nel trovare una via di mezzo scelsi una camicia bianca che annodai sulla pancia lasciandola scoperta ed un paio di jeans chiari larghi dalle cosce in giù.
Allacciai le Converse, richiusi le collane, mi truccai e dopo aver sistemato i capelli scesi in salone dove Noah stava disperatamente cercando il suo cellulare.

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