In quel momento mi diresti verso la pallina. Avevo già fatto 6 punti, che chiaramente non è molto, tuttavia non ero mai stata in grado di segnarne più di 2 di fila.
Sentivo che finalmente, dopo un anno di sacrifici e sfiancanti allenamenti, i risultati stavano arrivando, sembrava come se non avessi mai più dovuto sentire i miei compagni dire "ma perché non riesci a tirarne una bene" oppure l'insegnante correggermi continuamente gli stessi errori, ero corrotta dalla speranza che non sarei più dovuta essere la più scarsa del gruppo, che avrei potuto brillare assieme alle altre stelle, invece di essere oscurata da esse come un banale satellite.
Inebriata dalla falsa consapevolezza del miglioramento, corsi verso la pallina con un sorriso spavaldo sulle labbra e mi preparai a colpire, pronta ad udire il meraviglioso suono di essa che si infrange sulla racchetta per poi colpire con violenza il campo avversario.
L'unico rumore che udii però fu quello della mia racchetta che fendeva l'aria come una spada, seguito da 2 sordi rimbalzi che si facevano sempre più impercettibili man mano che la pallina di allontanava nel mio campo.
"L'ho lisciata"
La speranza che faceva brillare I miei occhi si spense e il mio sguardo vuoto passò dalle mie scarpe bianche alla rete.
La stessa rete che accoglieva ogni mio tiro, inglobando la forza e la volontà che mettevo ogni volta che la mia racchetta tagliava l'aria aspettandosi di mandare la pallina nell'altro campo e facendo svanire ogni mia parvenza di essere all'altezza dei miei avversari.
L'esercizio continuò anche dopo questo mio errore, e la me stessa che aveva segnato 6 punti di fila (e aveva intenzione di segnarne altri tramite le sue "abilità") lasciò posto alla solita ragazza che manda ogni tiro a rete non riuscendo a lanciare nemmeno la "prima pallina", ovvero il primo colpo che coloro che si trovano nella metà del campo al sole devono compiere per dare inizio alla partita.
Passai il resto del tempo AD osservare i miei compagni giocare, scambiarsi dritti e rovesci veloci e corti, per poi essere in grado di continuare a fare scambi per più di 15 minuti senza mai sbagliare, cosa che per me era solamente un sogno utopistico.
Alla fine della lezione camminai sconsolata verso la sedia su cui era poggiata la mia giacca, consapevole che in 3 mesi di workout e 12 di allenamento non avevo ancora raggiunto il mio obiettivo di diventare "rispettabilmente decente".
La cosa più triste è che non mi ero posta un traguardo irraggiungibile, semplicemente avevo deciso di rientrare nella media.
Non avevo chiesto di splendere e innalzarmi rispetto alla Massa, volevo solamente non essere inferiore a un giocatore tipo.
Il momento più umiliante fu però quando l'insegnante pronunciò le seguenti parole " a maggio c'èun torneo" proponendo ai miei due compagni di segnarsi, per poi ricordarsi solo dopo di me, che chiaramente rispetto al loro passavo in secondo piano.
"E tu ti vuoi segnare?"
"No"
Dovetti ammettere, ma in fondo lo sapevo che lei sperava rispondessi così. Io Non ero pronta. Lei non voleva essere umiliata da una giocatrice tanto incapace.
Parlò per qualche minuto del torneo ai due, ed io ascoltai.
Fu in questo momento che mi tradii.
"Posso usare la scusa che quest'anno ho gli esami"
scherzai per rompere l'imbarazzo che aleggiava tra noi 4 come una soffocante nuvola di fumo.
"Sei 2008?"
Una risposta secca "si"
"Ma quindi sei più grande di noi"
"si, è la più vecchia" si intromise l'allenatrice.
Non solo non ero brava, ma ero persino più grande di quei due che mi avevano battuta con tanta facilità. L'imbarazzo si impossessó di me e assaporai l'amara sconfitta e il crudele fallimento.
Me ne andai salutando con voce roca e spezzata dal dolore, senza guardarmi indietro e con la racchetta in spalla.
Tornai a casa a piedi, avvolta nei miei pensieri mentre dal cielo plumbeo cadevano leggerissime gocce d'acqua.
I miei passi erano scanditi dal ritmo regolare della pioggia e nella mia testa aleggiava un sentore di nostalgia.
"Non sono portata per il tennis, certo è un bello sport, mi impegno e faccio di tutto per segnare anche il più banale e squallido dei punti, solo per non fare brutta figura. Tuttavia a quanto pare non basta.
Perché non posso tornare indietro? Su quel motoscafo in mezzo al mare pieno di volti conosciuti e allegria.
Perché non posso tornare su quella tavola che per quanto avevo usato aveva praticamente il mio nome segnato sopra, perché non posso continuare a muovere la vela del mio windsurf, concentrata sull'orizzonte e con il vento che mi spinge, diventando mio alleato, che assieme alle onde contribuisce a farmi guadagnare velocità.
Mi mancano quelle cadute in acqua, quelle risate e il non mollare mai, quel "non voglio cadere, perché ce la posso fare" susseguito dai complimenti degli altri surfisti perché nonostante avessi iniziato da poco ero "bravina". Nella media.
Mi manca più di tutto la consapevolezza che sé avessi continuato, avrei potuto forse brillare."
Pensai mentre le mie lacrime si mischiavano all'acqua piovana, accarezzandomi dolcemente il volto come avessero voluto confortarmi.Avevo nostalgia di quell'equazione incisa indelebilmente sul mio cuore che diceva "sforzi= successo" che si applicava perfettamente al regno del vento e del mare, ma non alla mera terra verde che ricopre i campi da tennis.
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Ho scritto questo capitolo in memoria di un episodio avvenuto tempo fa, non so se dovrei rendere questa cosa una storia con dei veri e propri personaggi. Ditemi voi :D
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Uno Dei Tanti Giorni In Cui Ho Fallito
Short StoryÈ solamente un capitolo, ma spero possa aiutare la gente a sentirsi meno "sola" quando qualcosa non gli riesce :)