Mi trovavo su una nave gigante, come una crociera, che però nascondeva un segreto al suo interno. Era spaziosa, dentro si trovava un piano dedicato alla scuola e un area (all'incirca metà piano) solo di bagni. Parlando di numeri, a occhio e croce, si contavano 6/7 Mila persone... però dedichiamoci alla storia effettiva.
Ero in una piazza insieme agli amici dei miei genitori ( "i ragazzi" li chiamavano) e stavamo facendo un giro in centro. Eravamo tutti vestiti "appariscenti", chi con ghirlande a fiori, vestiti con motivi stravaganti, e occhiali da sole tondi e colorati sul capo... presumo che fossero gli anni '80.
Ci facemmo una foto con la polaroid.
Il cielo era chiaro, il sole risplendeva e illuminava tutta la zona però da lì a breve saremmo partiti per un lungo viaggio.
Infatti, io e la mia famiglia più 2/3 amici di quella giornata, ci ritrovammo su una nave talmente grande da dimenticare che fosse un'imbarcazione invece che una città.
Girando per i piani ci ritrovammo in un piano con le pareti verdi e tantissimi cartelli con scritto "aula A","aula B" e, come se fosse già premeditato, sentimmo qualcuno dietro di noi... poi il nero, vuoto... zero ricordi.
Mi risvegliai ed ero in un aula, nella 3 fila affianco alla finestra. Stordita dall'accaduto guardai fuori dalla finestra e, invece di vedere il mare cristallino, non riuscì a vedeva nulla, c'erano delle sbarre e dei pannelli di ferro a bloccare il paesaggio. Con uno scatto mi alzai o cercai di farlo, infatti capii di essere bloccata sulla sedia e tutti gli alunni, compreso l'insegnante, si girarono verso di me. La cosa inquietante fu proprio il come si girarono: la loro testa, quando sentirono il rumore che feci per alzarmi, iniziò a ruotare lentamente su se stessa... senza fare alcuna mimica facciale, senza sbattere le palpebre. Solo un espressione neutra.
L'insegnante era ciò che mi spaventava di più: la sua carnagione era grigio cenere, a stento riuscì a classificarlo come un "essere umano"; il suo volto era tondo, con una fronte larga e delle folte nere sopracciglia ma i suoi occhi, come dimenticarli, erano tondi come due cerchi perfetti con soltanto un pallino nero al centro, senza espressione; la sua bocca invece era spropositatamente grande ma all'interno era vuota... quando parlava doveva necessariamente muovere la testa all'insù per riuscire a emettere suoni; il naso era inesistente... proprio come i suoi capelli.
Dietro la nuca aveva un codice "3268" e, a primo impatto, non capii a cosa si riferisse. Guardai i miei compagni che, immutevoli, ascoltavano la lezione e successivamente
guardai me con lo specchietto fornitoci nel cassettino del banco: ero rimasta come prima.
<<Perché non sono cambiata? I* ragazzə affianco a me non sembrano più dei miei coetaneə, sono così distanti dall'aspetto di un normale adolescente, e invece perché io sono così... così normale>>
Alla fine della lezione corsi via da quella "prigione" il più velocemente che potessi. Scansai chiunque si parasse davanti a me finché non trovai una porta con una colonna davanti che usai per nascondermi.
...
Tu, lettore, conosci la paura che si prova quando non sai in che luogo ti trovi, non capisci in che realtà sei... cosa stia succedendo intorno a te?
...
Ero terrorizzata.
Suonò di nuovo la campanella. Le porte si chiusero automaticamente all'unisono.
Mi alzai e guardai il lungo corridoio, non c'era anima viva. In me si infuse un irrazionale senso di sollievo, dopo tutta quella pressione, finalmente sentivo di poter fare qualcosa invece di rimanere chiusa in quella stanza con le finestre barricate. Passo dopo passo arrivai alla fine del corridoio e trovai un'aula differente dalle altre, aveva la porta aperta, forse guasta.
Mi avvicinai alla porta aperta per dare un occhiata e vidi Sassa, una mia compagna di classe. Sorpresa alla vista di un volto familiare inciampai facendo rumore contro la porta e Sassa si girò verso di me. Riconoscendomi, mi indicò e disse all'insegnante della mia presenza, quest'ultima mi intimò di entrare e sedermi in aula. Presa dal panico dissi con un filo di voce <<v-vado in bagno>> e, senza guardarmi indietro, con passo spedito mi diressi nell'area dei bagni. Appena varcai la porta, che divideva il corridoio dall'area igienica, davanti a me si paravano tanti bagni sia a destra che a sinistra e il mini corridoio che li divideva si infrangeva con un lavandino bianco situato sul muro. Le pareti che dividevano i singoli bagni erano di vetro opaco, non si poteva vedere nulla dall'esterno, bizzarro non trovate?
Entrai nel bagno infondo a destra (a sinistra guardando dal lavandino) e la stanza era piccola e semplice, a forma di L al contrario.
Davanti a me si poteva trovare un normalissimo gabinetto con carta igienica e relativo cestino mentre a sinistra, attaccato parzialmente alla parete, si trovava un macchinario strano a due piani, uno sopra l'altro (uno leggermente più avanti mentre l'altro attaccato al muro). Mi avvicinai e lessi un cartello con scritto "you must throw the toilet paper here" indicante un rettangolo dove si buttava la carta e affianco, nell'altro piano, una zona dove sedersi per fare i propri bisogni.
Un rumore, dei passi... dietro di me un'insegnante con una bambina entrano nel bagno e l'adulto fa sedere la piccola sul gabinetto, tutto questo senza vedermi. Non sapendo che fare, e non volendo essere vista, mi avvicinai al rettangolo per la carta che aspirò, per sciagura, i miei capelli tirandomi all'interno di quel macchinario. Caddi in una specie di stanzino pieno di carta che fortunatamente mi attutì la caduta.
Mi guardai in torno, era tutto buio però in lontananza si poteva vedere un corridoio colmo di luce. Come se quella fosse la mia unica fonte di salvezza, barcollante, andai verso quel luogo e avvertí un forte dolore al petto, infatti inciampai contro un piccolo muretto di al massimo 20 cm. Mi rialzai quasi subito e...
<<Perché ci sono delle persone? Mi stanno fissando->> ero in un corridoio di vetro trasparente con un nastro trasportatore sotto ai piedi. Ero come una bambola in vetrina: immobile, osservata da tutti.
Più avanti, verso la fine della vetrata, vidi una porticina all'interno di una piccola stanza (un paio di metri, sia di base che di altezza), lì trovai un pezzo di ferro sottile però abbastanza grande da usarlo come arma e, più tranquilla, uscii da quello strano corridoio. Camminavo stando vicino alle pareti, prima di voltare agli incroci aderivo alla parete per non incrociare altre persone. In un posto poco illuminato vidi due persone a me conosciute, i 2 amici con cui ero salita sulla nave. Corsi verso di loro e, prima che potessi dire qualcosa li sentì dire <<guarda in alto, la ventola>>, avevano in piano di nascondersi nei condotti dell'aria.
Appena mi notarono girarono solo la testa e notai le loro espressioni catatoniche.
Loro non erano miei coetanei, avevano circa 40/50 anni.
Pensai a quello che ero costretta a fare, stare nelle aule ferma, imprigionata, senza potermi muovere... Allora a loro cosa sarà capitato per essere così...cosa avranno subito per perdere il bagliore di felicità che avevo visto, nei giorni precedenti, nei loro occhi.
Iniziarono a parlare sul come fermare la ventola per riuscire a scappare da lì e, come una scarica elettrica, mi venne in mente il pezzo di ferro che raccolsi nella stanzina, quell'oggetto che mi aveva ferito il palmo della mano a forza di stringerlo, come se fosse un oggetto di vitale importanza per me.
<<Potremmo utilizzare questo>> dissi indicando il pezzo di ferro,<<secondo me è ottimo per bloccare le ventole e passare nel tunnel>> aggiunsi.
I due si guardano e annuirono, però a me non considerarono... come se fossi trasparente.
Sbuffai e passai al primo uomo, di nome Nele, il ferro, successivamente prense una corda con un "picchetto" in cima che lanciò con forza e, per nostra fortuna, si conficcò saldamente al soffitto. Infine passò al suo amico l'oggetto da me consegnato.
<<Vai Pika>> rimbombò in tutto il piano silenzioso, una frase di incoraggiamento ma che dentro di sé racchiudeva tante incertezze.
Pika, l'uomo con il pezzo di ferro, si aggrappò alla corda e, con un balzo, iniziò la sua scalata fino alla ventola in alto. Piantò il pezzo di ferro fra la ventola e il soffitto e si sistemò nel condotto di areazione, fece salire anche Nele e me e, gattonando, finimmo in una piccola stanzetta con i generatori e vari apparecchi strani. Pika ci salutò e, con lo sguardo, lo vidimo sparire nel buio dei condotti...
Rimanevamo solo io e Nele in quella fredda e sporca stanza oltre ai piccoli insetti che si muovevano sopra ai macchinari oppure sulle pareti pericolanti.
Un silenzio assordante invadeva la stanza, il freddo mi congelava le ossa... quella però era la mia realtà, la mia vita ora.
<<Pika non tornerà più>> disse Nele rompendo il silenzio.
...
<<Come>> risposi con voce strozzata da delle lacrime che minacciavano di uscire.
Nele si limitò a guardare il soffitto senza proferire parola.
Da lì a poco mi addormentai, forse era l'unico modo per scappare da quella realtà, fuggire da quel guaio in cui mi ero cacciata.Sfocato
Luce
Sbattei più volte le palpebre per capire dove mi trovassi. Casa... ero a casa mia con un'amica però non riuscii a vedere il suo volto, sentivo soltanto la sua voce.
Capii che stessimo giocando a genshin impact, il gioco che ci piaceva tanto giocare insieme, e mi stava mostrando i suoi personaggi. Guardai il suo ID in basso a destra e non credetti a quello che stavo leggendo:
ID: 3268
Di sfuggita riuscii a vederle il volto... grigio cenere.