Goodbye

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A @Praghiscia e a tutti coloro che hanno imparato ad amare almeno un po' Dybala

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Dybala's P.O.V.

"Il mio stadio. Questo è il mio stadio."
Non riuscivo a pensare ad altro se non alle persone sedute sulle panche di quello che è stato il mio luogo. La mia casa.
La prima volta che giocai una partita lì dentro ricordo di essermi sentito piccolo e insignificante, quasi non degno del mio ruolo. Indossavo la maglia 21 e ne sentivo tutto il peso ed ora avevo la 10 sulla schiena e lo stemma cucito nel cuore, esattamente dove custodirò la mia storia.
Sentivo la gente gridare prima dell'inizio e, alla mia entrata, non ho potuto fare a meno di guardarmi attorno per vedere ciò che un po' avevo creato anche io, la storia di cui avevo fatto parte.
Quei sedili su cui era narrata la vita della mia Juve erano occupati da chi l'avrebbe portata avanti.
Ho giocato dando il massimo, pensando a rendere fiere di me le persone almeno un'ultima volta prima che finisse tutto, prima che tutto diventasse un ricordo.
Lo vedevo negli occhi e nel cuore delle persone che non soffrivo solo io.
Ero amato.
Forse non da tutti, è vero, ma non riuscivo a vedere altro che l'amore che negli anni i miei tifosi mi avevano trasmesso e quello che avevo dato, come se in qualche modo avessero ricambiato il mio.
La palla era sotto i miei piedi e correva, non si fermava, un po' come la mia vita che non ho potuto stoppare in quel momento, quando tutti hanno iniziato a capire che quella era la fine. 
Non ho potuto evitare l'inevitabile e mentre uscivo dal campo pensavo a questo, guardavo i volti della gente e amavo.
Amavo la maglia che indossavo, i miei tifosi e gli haters, che in qualche modo mi avevano reso più forte di prima.
Amavo i miei compagni di squadra, tutti coloro con cui avevo lavorato: da Buffon e i suoi abbracci, a Ronaldo e la coppia che alla fine eravamo andati a creare. Ancora pensavo a Morata, che era come un fratello per me e a Dusan, con il quale ero stato appena, eppure già lo sentivo così vicino. Berna, Cuadrado, Matthijs, Marchisio, Chiellini, Bentancur, Pjanic... tutti. Perché loro hanno creduto in me, mi hanno aiutato e capito. Sono diventati la mia famiglia.
Amavo Torino e ciò che mi aveva dato.
Amavo due colori, gli stessi due che ho imparato a capire e a valorizzare, quelli che ho vissuto e che ora mi stanno portando a soffrire. Ma cosa sarebbe l'amore senza la sofferenza?
Io volevo essere gioia per i miei tifosi e spero di averne trasmessa negli anni.
Durante il giro d'onore pensavo ad essere egoista, a prendermi tutto dei tifosi: le loro lacrime, il loro amore, il loro cuore, lasciandone una parte del mio, sperando che quello fosse abbastanza per alleviare almeno un poco il dolore.
Ora il peso che sentivo non era più quello della maglia, bensì quello delle lacrime che premevano ai lati dei miei occhi e, se c'è una cosa che non so fare, è nascondere le mie emozioni.
Non potevo nascondere le lacrime causate dal dolore di aver amato. 
Non potevo nascondere proprio quelle lacrime, così importanti e speciali, che racchiudevano tutto ciò che ero.
E mentre guardavo per un'ultima volta il volto della mia casa pensavo a ciò che era stata la mia storia e non potevo fare a meno di amarla ancora di più.

Goodbye - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora