Capitolo 1

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Edo 1869

Jonathan Owen procedeva lento sulla sua cavalcatura, con il volto ombreggiato dal cappello bianco a larghe falde. Al suo fianco, una giovane lady dagli ondulati capelli ramati gli teneva il passo, con lo sguardo illuminato dal panorama verdeggiante che le offriva quella nuova terra da esplorare.

Due ore prima, erano sbarcati nel porto di Uraga, nella baia di Edo, e adesso percorrevano la Nakosendou, la strada che li avrebbe condotti al centro della capitale.

Parecchi viaggiatori e mercanti, nei loro chimoni tradizionali, chi a piedi, chi in palanchino, transitavano anche a ritroso quella stessa via che a tratti si snodava lungo il corso del fiume Kiso, mostrando una valle ricca di conifere e di cipressi sawara.

Alcuni villaggi erano disseminati ovunque. Le case erano rette da colonne piantate in un largo scavo nel terreno con i tetti di bambù essiccato, abitati per lo più da boscaioli, carpentieri e allevatori di bestiame.

I due arrestarono i propri cavalli in una stazione di posta controllata dagli ufficiali dello shogunato, giacché avevano il compito di controllare i viandanti.

La giovane donna smontò dal suo cavallo, lasciando che Owen, un inglese sulla cinquantina dai modi raffinati, magro e con lo sguardo vivace, mostrasse ai due soldati il visto siglato dalla 'Britannica Compagnia delle Indie Orientali'.

"Non allontanatevi, Casey!" intimò l'uomo alla giovane, rivolgendole un sorriso cordiale. Lei ricambiò il sorriso; i boccoli rossi le oscillarono sul viso roseo, mentre incrociava le mani dietro la schiena imprimendo sul volto un'aria birichina, che lasciò intendere al suo accompagnatore di aver ricevuto il messaggio. Poco dopo, i suoi grandi occhi argentati vagavano curiosi e frenetici per le bancarelle di un mercato ricco di ogni genere di mercanzie, posandosi, infine, sulle stoffe di lucido raso variopinto, che una donna bassa di statura e il corpo leggermente arrotondato le sventolava davanti, pregustando già un meritevole profitto da parte di quella giovane occidentale.

Casey si passò le mani sul corto gonnellone da viaggio, che le scendeva fino ai polpacci risaltando gli stivaletti in cuoio allacciati alle caviglie, sperando di togliere residui di unto che avrebbero rovinato la stoffa; strinse la lingua tra i denti come fa un bambino davanti a un dolce, pregustando l'avvicinarsi della morbidezza di quel tessuto, che a breve le sue mani avrebbero toccato ... Queste le rimasero a mezz'aria, poiché un'alta figura maschile la ombrò dal riverbero del sole, prese la stoffa al suo posto, la tastò con mani di vero intenditore e con un'alzata scettica di sopracciglio la porse alla donnetta con un inchino reverenziale del capo, farfugliando un : "Ie, Kekkodesu! Kyomi wa arimasen!" (No, grazie! Non siamo interessati!) - Con eleganza, poi, prese la giovane per il gomito e la sospinse verso il suo cavallo. Casey si voltò dispiaciuta a quello che le parve un diniego. Le avevano appena tolto il dolciume da sotto gli occhi.

"Avete fatto presto a mostrare il nostro visto!" obiettò con tono deluso.

"Appena in tempo o la venditrice vi avrebbe venduto tela di juta!"

Lei sospirò sonoramente, mentre il gentiluomo dai capelli canuti e il sorriso divertito sotto i baffi grigi la aiutava a montare in sella, per poi passarle un cappellino di paglia, che lei si apprestò a indossare allacciandone con stizza i nodi sotto il mento.

"A breve giungeremo al centro della capitale" riferì lui, sbirciando il suo orologio da taschino e gettando poi un'occhiata all'orizzonte della lunga strada. "Sarà meglio affrettarci!"

Dopo poco tempo, infatti, lasciarono la strada principale imbattendosi nella comparsa delle machiya, una traversata di case di legno poste lungo il viale, dove risaltavano non i soliti tetti di paglia, bensì tegole di ceramica e le travi intonacate, mentre le pareti si percorrevano a schiera nella loro colorazione nera ottenuta mescolando inchiostro di china, ossido di calcio e guscio di ostrica triturato. Com'era diverso dallo stile georgiano delle case londinesi equilibrate e proporzionate dal colore dei mattoni rossi, che allineandosi sui marciapiedi dominavano le strade con le loro bianche finestre quadrettate. L'arte delle machiya era originale, pensò Casey entusiasta, ascoltando le spiegazioni del suo accompagnatore, con lo sfondo dei negozi e delle bancarelle che offrivano ogni genere di arredo e vasellame, dalla ceramica smaltata alla porcellana decorata nelle tinte verdi, rosso e dorato; non in tono con l'austerità dello stile londinese, che oltre al rosso e al bianco si notava solo la ghiaia sabbiosa sul selciato.

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