Le prime luci della sera stavano avanzando e l'odore di cibo cotto e fumante, proveniente dagli yatai*, fecero brontolare lo stomaco a Casey.
Non volendo deludere il suo tutore, fece a ritroso la strada, ritornando verso la locanda. Al suo interno, il piccolo albergo offriva una sala dalle dimensioni modeste per consumare i pasti caldi. L'arredamento richiamava lo stesso tono delle camere, con le pareti scarlatte e le stampe ukiyo affisse a ogni angolo dei muri, per dare un tocco di vivacità all'ambiente.
I tavoli erano tondi di legno scuro; le sedie avevano un alto schienale graticolato di giunco intrecciato. Sulla tovaglia color senape era disposto solo l'occorrente: una brocca colma d'acqua, un bicchiere panciuto di vetro verde e un astuccio, dove sopra erano elegantemente adagiate due bacchette esili di legno chiaro.
La giovane dovette ammettere che sir Owen aveva avuto buon occhio nello scegliere quell'albergo per pochi ospiti. Non assomigliava affatto a una locanda di quartiere; era semplice nei suoi colori forti, ma di buon gusto. I dipendenti erano riguardevoli fino all'eccesso ed eleganti nelle loro giacche nere a due code e il doppio petto, senza nulla da invidiare ai servitori in livrea degli alberghi di lusso.
A un tratto, un cameriere fece capolino da una porta scorrevole; giunse fino al suo tavolo e fece scivolare sotto i suoi occhi un largo vassoio quadrato, congedandosi, subito dopo, con un reverenziale inchino del capo.
I cibi sembravano disposti con arte, divisi in piccole portate. I piattini e le varie ciotole erano assemblate sul vassoio color antracite e ognuno di loro conteneva pietanze fumanti e altre fredde; un contorno di verdure risaltava con il bianco del riso; una ciotola di funghi aromatizzati richiamava, invece, la freschezza delle montagne; crostacei e gamberi emanavano, poi, un gradevole odore agro-dolce, incrociandosi con i fumi vaporosi di un brodo, all'interno del quale galleggiavano tanti fili di pasta in grano saraceno. Era un'esplosione di colori e i profumi di quelle delizie giunsero alle narici di Casey, che le inalò con compiacimento.
Afferrò le due bacchette nella maniera in cui le aveva insegnato Owen e cominciò ad assaggiare una pietanza per volta, gustando lentamente, lì dove l'appetito consentiva le buone maniere. Armeggiare con quei buffi arnesi era semplice, costatò, e parecchio divertente.
Erano trascorsi non più di dieci minuti, che la porta d'ingresso fece udire un sonoro scampanellio. Una signora in kimono rosso con motivi floreali si precipitò con passi corti a recuperare il soprabito e il cappello a mezza tuba che l'ospite, appena entrato, si tolse. Questi afferrò, poi, i baveri della giacca a due code e con un colpo secco ne tirò le pieghe. Con gesto galante sbirciò, quindi, il suo orologio per riporlo, poco dopo, nel taschino del panciotto impreziosito di ricami. L'uomo, dai lineamenti occidentali, esaminò i pochi clienti che consumavano i loro pasti, fino a posare lo sguardo su ciò che gli fece dipingere sul viso un sorriso di trionfo.
Casey non terminò neppure di consumare il suo pasto. La rapidità con cui Helmut impiegò a trovarla fu simile alla prontezza che impiegò il gambero a sfuggire dalle sue bacchette non appena lo vide, lasciando che sulla sua espressione apparisse una percettibile smorfia contrariata.
Il giovane si avvicinò al tavolo; scostò la sedia di fianco a lei e si sedette con noncuranza e poco stile, stendendo le gambe in avanti e incrociandole in maniera poco discorde per un signore inglese. Si stese all'indietro per riprendere l'orologio e controllarne l'ora, dando l'aria di importagliene qualcosa; in realtà era solo l'attenzione che sperava di cogliere su di sé, ma Casey non ci badò. Desiderava terminare il suo primo pasto orientale e maledisse il destino che voleva mandarle all'aria la serata.
"L'aria tropicale di Edo giova alla tua carnagione, Casey. Ti trovo splendida!" si fece udire Helmut, con voce melliflua.
"Questo sarebbe il tuo modo di salutare?" lo ammonì lei, facendo, finalmente, suo il gamberetto tra le 'pinze'. "Hai sguinzagliato bene i tuoi cani per trovarmi così in fretta!" lo redarguì, sbirciando con lo sguardo fuori dalla porta a vetri per posarlo su un paio di manigoldi avvolti in corti mantelli neri.
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GLI OCCHI DEL RONIN
Historical FictionEdo 1869 All'insediamento della restaurazione Mejij, una giovane ereditiera inglese fugge dalle insidie dello shogun, propenso a ripristinare il proprio regno appropriandosi dell'oro che ella detiene. Sullo scenario dell'ultima cultura medioeval...