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È il pianto di Mattia a svegliarci. Io e Nicolò abbiamo dormito pochissimo, e siamo ancora abbracciati e nudi.

«Hanno suonato.» sbuffa dopo aver sentito il campanello.

Mi alzo leggermente per prendere Mattia, e lo metto accanto a me, sul petto di Nicolò.

«Siete comodi?» sorride accarezzando entrambi.

«Molto.» dico mentre allatto il piccolo.

«Devo andare ad aprire la porta però.» mi bacia la fronte. «Rimettiti a dormire te.»

Sono costretta a farlo alzare.

NICOLÒ

Dopo essermi rivestito, non faccio in tempo a lasciare la stanza che madre e figlio dormono di già. Rimango un po' a guardarli, sono bellissimi. Li copro con le lenzuola, poi li lascio riposare.

Non so nemmeno se ci sarà ancora qualcuno dietro la porta. Ma invece mi ritrovo Dylan.

«Ehy, che ci fai qui?» lo faccio entrare.

«Sto scrivendo sia a te sia a Monica da ore.» dice quasi nervoso, per poi cambiare completamente quell'espressione così seria. «E quello?»

Indica con l'indice il mio collo, e io confuso vado in bagno, lasciando la porta aperta, per controllarmi allo specchio.

«Vi siete divertiti, e io che ero in pensiero.»

Ritorno in sala da Dylan, consapevole ormai di avere un succhiotto segnato sulla pelle. Sorrido mentre mi siedo accanto a lui.

«Quindi ritornati insieme?» sta cercando da solo una conferma sul mio volto.

«Con calma.» inizio a odiare quest'espressione. «Però ci vuole riprovare.»

«Non fare lo scemo stavolta.»

«No, stai tranquillo, non rischio più di perdere tutto di nuovo. Non speravo nemmeno in questa seconda possibilità di Monica.»

«Già da subito ti avrebbe perdonato, fosse stato per lei. Gli mancava solo quella spinta in più.»

«Grazie, comunque, che ti sei preso cura di lei, e di Mattia.»

«Tu sei mio fratello, Mattia è mio nipote. Ora dove sono loro due?»

«Stanno dormendo, in camera mia.»

«Torna qui?»

«Lo spero.»

MONICA

«Buongiorno.» saluto i ragazzi in sala, mentre tengo in braccio Mattia.

«Dallo a me.» mi dice Nicolò, così gli passo il bambino. «Dylan era preoccupato, per questo è qui.»

«Scusami.» stropiccio gli occhi. «Ho dimenticato il caricatore a casa tua.»

«L'importante è che stia bene, non ti preoccupare.» sorride vedendo Nicolò far divertire il piccolo che tiene tra le braccia. «Dai, fai colazione così andiamo a guidare.»

«Voglio venire anch'io.» non capisco chi sia più bambino tra padre e neonato. «Voglio vedere come te la cavi.»

«Se la cava bene, fidati sulla parola.» se Dylan risponde così, è perché c'è una ragione precisa. Non è di raro che mi capitano paure improvvise durante la guida, e l'unico che lo sa è proprio il nostro amico. L'unico che anche sa come calmarmi, come per magia. Far venire Nicolò con me in macchina significherebbe lasciare Dylan e Mattia a casa, dato che ancora non mi sento tanto sicura da far salire anche mio figlio in auto con me, mentre al volante sono io.

«Per favore?» mi guarda Tony.

«Magari un'altra volta.» cerco di uscirne da sola, stavolta. «Ora occupati del bambino.»

Una volta finito il primo pasto, come d'accordo, Dylan mi accompagna sino alla vettura, ed io, con chiavi in mano, mi preparo nella postazione corretta.

«Ricorda, non c'è fretta. Non ci segue nessuno, e nella strada è come se fossi sola.»

«Chiaro.» sospiro per darmi maggiore sicurezza.

Facciamo il giro della zona, e sembra andar tutto bene, finché dal nulla, senza un apparente motivo, e relativamente a pochi metri da casa, uno dei soliti attacchi di panico mi sovrasta.

«Vieni tu a guidare.» quasi gli imploro, accostando a quattro frecce in una fermata del bus trovata lungo la strada.

«Stai tranquilla, riparti. Sei stata bravissima finora.» è molto bravo a rassicurarmi, non capisco come Nicolò me lo descrivesse in modo totalmente opposto, su questo suo lato.

«Non ce la faccio.»

«Certo che ce la fai. Prendi la pastiglia e continua.»

Faccio come dice. Mando giù l'ansiolitico prescritto dal medico, insieme a dell'acqua di una bottiglietta nei sedili posteriori, e ritorno in strada. Per farmi distrarre, probabilmente, Dylan inizia a conversare, quasi facendo attenzione che io ne partecipi attivamente. E non so come ma riesce nel suo intento. Parcheggio finalmente, poi in tutta tranquillità scendo per tornare a casa di Tony. Suono, ma nessuno mi apre. Pyrex mi raggiunge dopo pochi passi, e per fortuna almeno lui ha il permesso di tenere con sé il suo doppio mazzo di chiavi. La casa sembra vuota.

«Se l'è portato via.» ipotizzo entrando di nuovo subito in crisi.

«Non lo farebbe mai.»

«Ne sei tanto sicuro?»

A passo svelto, senza aspettare una vera risposta, controllo tutte le altre stanze. Cucina, bagno, anche il giardino.

«È qui.» sussurra Dylan, portandomi sull'uscio della camera da letto.

In questo momento non saprei come sentirmi, se non tremendamente in colpa. Aver dubitato di lui, in questo modo, mentre in realtà sta solo dormendo sul lettone con accanto Mattia impegnato a giocare con gli anelli alle dita del padre, mi fa vergognare di quel che pensavo fosse la verità. So che è stanco, si merita di riposare. Perciò mi avvicino per portar via mio figlio. Ma appena lo sfilo dal suo braccio, Nicolò apre gli occhi quasi in un sussulto.

«Ah, l'hai preso tu.» mi guarda più tranquillo e stropicciandosi gli occhi.

«Dormi.» gli sussurro sperando di non fargli perdere il sonno.

«Scusa, sono crollato senza neanche accorgermene.»

«Non ti preoccupare, riposati.» col bambino tra le braccia mi avvicino per dargli un bacio a stampo, poi seguita da Dylan esco nuovamente dalla stanza.

«Tutto ok?» mi domanda a voce bassa l'amico, una volta seduti sul divano.

«Come ho fatto a pensare l'avesse portato via?» sono la prima ad indignarmene.

«In questo periodo è come se avessi paura di tutto, l'avevo già notato da un po'. Ma è solo un periodo, penso sia il periodo da neo-mamma.»

«È suo padre, Dylan. Non posso avere paura di Nicolò, per quanto riguarda il bambino.»

«Ora te ne sei resa conto, non sfasciarti troppo la testa.»

Il resto non mi importa ||Tony Effe||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora