Non posso crederci.
Mi sento soffocare, queste quattro mura mi deprimono, hanno un colore grigio spento ed il soffitto è pieno di ragnatele.
Penso di essere l'unica in grado di ragionare qua dentro, non capisco perché mi abbiano chiusa in un manicomio.
Perché?
Mentre mi ponevo questa domanda al quale non trovavo risposta mi alzai in piedi, per quel poco che riuscivo a starci dato che qui se ci danno da mangiare una volta ogni due giorni è tanto, iniziai a girovagare all'interno della mia piccola "dimora" e vi erano una finestra che dava al cortile, un letto da ospedale, un "bagno" se tale possiamo definirlo. Continuavo a compiere dei cerchi immaginari all'interno della stanza e continuavo a chiedermi del perché mi avessero rinchiusa, continuavo a chiedermi se mai sarei uscita dalle quelle quattro luride mura.
La stanza era totalmente sporca, non vi era nulla di igenico seppur un ospedale psichiatrico.
In fondo al corridoio, al di fuori della mia stanza sentivo grida di dolore, chissà cosa succedeva al mal capitato.
Ero lì, sola con i miei pensieri, arresa a l'idea che ormai avrei concluso la mia breve vita qui dentro. Infondo ho vissuto per soli diciassette anni, tra alti e bassi cadevo sempre in piedi più forte di prima, ma ora, ora ho toccato il fondo ed anche se mi dessi una spinta non riuscirei a tornare alla superficie. Me lo sento, qualcosa di brutto deve accadere, altre urla giungevano al mio orecchio, sembrava stessero ammazzando qualcuno, poco dopo bussarono all'enorme porta di fronte a me ed un'infermiera, credo fosse un'infermiera mi disse:"Lei è la signorina Kapter?" Feci un debole cenno di sì con il capo e lei continuò:"Allora, dopo che avrai preso queste pastiglie mangia e quando alle 20:30 suonerà la campanella vai a dormire, ormai lo sai, non disubbedire." Lo disse con tono freddo, voleva inquietermi paura? Ci riuscì alla grande, presi le pastiglie e feci quello che disse, così al suono della campanella andai a dormire.
Il mattino seguente feci nuovamente le stesse cose che ormai ripetevo ogni giorno, anche se ero lì dentro da un anno, sembrava che il tempo non scorresse, come se si fosse fermato. Non sono mai uscita da questa stanza, se non per le visite di routine..le visite di routine non erano visite normali, ogni volta ci facevano esami del sangue tirandone via una quantità industriale con nessun tipo di apparecchiatura medica, a volte ci legavano ad un lettino e ci squarciavano un lembo di pelle, penso che serviva ad essere analizzato o a non so cosa, il fatto è che non conoscevano la parola "anestesia", oppure non scorderò mai quando mi ruppero una gamba poiché io non stavo ferma. Guardai fuori, pioveva, è al quanto rilassante, mi manca sentire le gocce di pioggia bagnarmi il viso, mi manca la mia vita frenetica di una volta. Ah il giorno in cui fui rinchiusa non ne capii il motivo, anche se ancora adesso non lo capisco, mi ricordo che il mio dottore psichiatrico mi prese di peso e mi portò qui, con il consenso di mia zia visto che era l'unica parente in vita, quando mi portarono qua speravo di vivere quel poco di tranquillità e poi andarmene, ma non fu così. Aprirono la porta, questa volta per la visita, e se ne avevo la possibilità sarei scappata da sta merda. La visita era l'unica possibilità che avevo per provare a scappare, ogni volta quel pazzo del dottore abusava di me sessualmente, penso che lo facesse con tutte, ma sta volta no. Stavolta scapperò e riuscirò a tornare alla civiltà. L'infermiera mi disse di seguirla, la seguii fino alla porta di legno della stanza in cui avvenivano varie torture, sì perché qui dentro non facevano solo le visite, ma se si disobbediva di veniva castigati con l'elettroshock, si veniva fustigati. Il dottore mi legò alla sedia, ma fece un'enorme sbaglio poiché lasciò il nodo troppo lento, così quando lui si allontanò per andare a prendere l'occorrente io mi sbrigai a togliere la corda e con passo molto veloce mi avventai sulla porta iniziando a correre per il corridoi posteriore dove non vi passava mai nessuno, ma quando un paziente mi vide iniziò ad urlare attirando così l'attenzione del personale, tre o quattro infermieri mi presero di peso dicendomi che mi sarei pentita per ciò che ho fatto. Questa volta, anziché legarmi alla sedia, m'immobilizzò al letto dove praticavano l'elettroshock e per quanto io mi dimenassi non riuscii a fare molto.
Prima scossa.
Seconda scossa, più forte.
Terza scossa, ancora più forte.
Andarono avanti, fino a che, il mio corpo resse, quello fu l'ultimo giorno che i miei occhi videro la luce.
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Stanza 628.
HorrorSenza un motivo a lei valido, Sheela una diciasettene statunitense si ritrovò a combattere tra la vita e la morte, rinchiusa in un manicomi, dovrà fare i conti con la triste realtà che la circonda, riuscirà a salvarsi?