12 - La lunga notte (I)

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Leone
"I compromessi non sono il tuo forte...
... ma non sono il forte neanche del tuo compare"


Strinsi le nocche attorno al traliccio in legno che scendeva dalla mia finestra. «Non vedo niente» mi lagnai, cercando di tenere un tono di voce basso.

A qualche metro sotto di me, sentii Christian sbuffare. «Salta» mi ordinò.

Col cazzo.

Azzardai un'occhiata verso il basso, ma non appena mi accorsi dell'altezza riportai subito lo sguardo sulle mie mani, ancora avvolte ai rampicanti che decoravano il retro della nostra casa. Li aveva piantati mia madre, prima di scoprire che mio padre li detestasse. Beh, erano lì da quasi dieci anni, quindi non doveva esserle importato molto.

«Claire, se non ti muovi ti lascio qui».

La voce burbera di Christian raggiunse le mie orecchie a un volume un po' troppo alto.

«Fa' piano» gli intimai, «ci manca solo che mia madre ci scopra».

Avevo aspettato che prendesse le sue solite pillole, prima di calarmi dalla finestra. Sapevo che, a quel punto, neppure un'apocalisse zombie avrebbe potuto svegliarla, ma aveva un sesto senso per i guai che svicolava dalle normali leggi fisiche e non me la sentivo di rischiare.

«Sei appesa lì da dieci minuti» sibilò. «Anzi, sai che c'è? Fanculo».

Sentii un tonfo, come se qualcosa fosse caduto a terra. Un istante dopo, una presa sui miei fianchi mi fece cacciare un urlo.

«Shhh». Christian mi coprì la bocca con una mano, attirandomi a sé. «Vuoi svegliare tutto il quartiere?».

Mi divincolai, mentre lui mi riappoggiava a terra. «Potevo benissimo scendere da sola» lo rimbeccai, strattonandogli il braccio affinché lasciasse la mia vita.

«Già, ho visto» lo sentii borbottare. Si abbassò e, un istante dopo, una luce mi ferì le pupille. «Prendi una torcia».

Con gli occhi socchiusi, allungai un braccio finché le mie dita non strinsero il metallo freddo dell'impugnatura. «Si può sapere dove stiamo andando?» domandai, osservandomi attorno.

Il buio assoluto della campagna di Danvers era un qualcosa che mi aveva sempre agitata. Sapevo che davanti a me ci fossero solo una distesa infinita di campi che arrivavano fin quasi alla riserva di Beverly, ma era impossibile vedere a più di un paio di spanne dal proprio naso. L'unica luce disponibile, oltre quella delle stelle, era prodotta dalla villa dei Case in lontananza.

«Ti muovi?».

Mi voltai in tempo per vedere Christian fermarsi. Mi aveva già distaccata di un paio di metri e dai guizzi veloci della sua torcia non sembrava felice di dover aspettare.

Alzai gli occhi al cielo, consapevole che non potesse vedermi. «Sarei più veloce, se sapessi dove stiamo andando».

«Ne dubito» lo sentii dire.

Gli scocciai un'occhiataccia, o quantomeno ci provai, perché Christian aveva già ripreso a camminare. C'era un sentiero che partiva dal fondo del mio giardino. Non lo usavo quasi mai, perché portava solo ai campi, o alla strada che circondava la loro villa. E nessuno di questi posti aveva una grande attrattiva per me.

Saltellai, per recuperare i pochi metri che ci dividevano. «Stiamo andando da te?» domandai.

«No».

«Vuoi portarmi nel bosco per uccidermi?».

«No».

«Conosci altre parole oltre a "no"?».

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