13 - La lunga notte (II)

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Gemelli
"Per certi rischi vale la pena
provare paura"


Qualcosa mi svegliò. Un rumore metallico che le mie orecchie stavano pian piano mettendo a fuoco. Un ritmo regolare, come di colpi inferti contro qualcosa.

Strizzai gli occhi, mentre il resto della situazione si stava pian piano delineando. C'era luce. Tanta luce, a dire il vero. Ruotai di poco il capo per capire dove fossi finita, perché quella non era decisamente la mia camera, anzi, quello era un cielo e...

Ero completamente rannicchiata su Christian. Quando me ne resi conto, m'immobilizzai. Le mie gambe erano finite sulle sue e avevo sepolto la testa contro il suo collo. Rilasciai piano la presa sulla sua felpa, che dovevo aver stretto cercando un po' di calore.

Merda. Ecco, cosa accadeva alle sfigate come me: facevano una buona azione per la comunità e, tac, che finivano avvinghiate a...

«Ciao».

La voce roca di Christian mi fece sobbalzare. Quando i suoi occhi assonnati incontrarono i miei, vi ritrovai lo stesso sguardo di quando eravamo piccoli e ci fermavamo a dormire sulla casetta sull'albero. Un istante dopo, ci vidi solo lo smarrimento.

Quello mi sembrava un buon momento per spostare le gambe e fingere di non aver dormito su di lui. Un ottimo momento, a dire il vero, ma mentre passava una mano sul viso, l'altra si chiuse sulla mia coscia bloccandomi ulteriormente. Il mio stomacò sprofondò. Avevo già detto di essere una sfigata?

«Cazzo, ci siamo addormentati» mormorò contrariato.

Avrei voluto dire qualcosa ma inspiegabilmente non riuscivo a trovare il filo che collegava la bocca con il cervello. Tutto quello che percepivo era il punto in cui le mie gambe toccavano le sue e la pressione delle sue dita che stringevano piano la mia coscia.

Spostai bruscamente le gambe. Ero così persa tra i miei pensieri, che neppure mi ero accorta che i colpi regolari che avevo sentito si fossero fermati.

«Siete svegli». Zio Rey si piantò di fronte a noi, con le gambe divaricate e le mani premute sui fianchi. Sembrava... contrariato. Beh, certo: avere due ragazzi spalmati sul dondolo non doveva essere esattamente un regalo divino. «Immagino che abbiate fatto fuggire tutti i ladri con il vostro russare» aggiunse, riprendendo a utilizzare la pala per togliere alcuni sassi.

Christian borbottò qualcosa di vagamente somigliante a delle scuse, e quella consapevolezza mi destabilizzò più dell'idea di aver dormito abbracciati.

«Wow, conosci davvero altre parole che non siano "football" o "allenamenti"?» gli domandai, picchiettando l'indice sulla sua testa. «Sei sicuro che sia tutto a posto, qua dentro?».

Si spostò di scatto. «Cristo, secchiona» si lamentò, infilando le mani tra i capelli. «Fammi svegliare, prima di iniziare con le domande».

Zio Rey si schiarì la voce. «Comunque mi hanno rubato due zucchine, grazie al vostro intervento» ci comunicò. Arrossii fino alla punta dei capelli, mentre indicava un'ampia zona di terra smossa. Era solo a un paio di metri da dove avevamo dormito noi, il ché rendeva tutto ancora più imbarazzante. «E ora sta iniziando a piovere» aggiunse secco, «quindi alzate le chiappe che devo finire di sistemare».

A conferma delle sue parole, le nuvole sopra di noi tuonarono una sequenza di rombi sordi.

Il mio sguardo allarmato incontrò quello improvvisamente attento di Christian. Afferrò la torcia da terra. «Forza, andiamo» mi ordinò, alzandosi.

Feci leva sul cuscino. «Ci dispiace zio» dissi, trotterellando lungo il patio, fino a scendere i pochi gradini che lo separavano dal giardino, «andrà meglio la prossima volta».

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