Capitolo uno

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«Corri» disse una flebile voce.
«Corri» ripetè la stessa voce, ma stavolta la sentì più vicina.
«Corri» disse e sentì il suo caldo respiro pungermi l'incavo del collo.
«Da chi?» sussurrai.
«Da me» sussurrò a sua volta e allora cominciai a correre.
Ma ormai era troppo tardi. Mi prese la gamba e mi trascinò nel buio,
e quando incontrai i suoi occhi color pece, dal buio non riemersi più.

Mi svegliai di colpo, agitata ma sopratutto spaventata da quell'incubo.
Guardai l'orologio che segnava le 4.07 di mattina. Mi alzai e andai in cucina per bere un bicchiere d'acqua,
cercando di tranquillizzarmi dopo quel brusco risveglio.
Non riuscì a chiudere più occhio poichè le immagini di quel sogno si proiettavano in automatico
nella mia mente, e la cosa peggiore è che non riuscivo a fermarle.
Solo dopo aver fatto una doccia calda riacquistai un po' più di lucidità. Mi guardai attentamente allo specchio,
alla ricerca di un nuovo difetto, come ero solita a fare tutte le mattine.
Passai le mani tra i miei capelli neri, esaminai qualche ciocca e cominciai a pettinarli, lasciandoli ricadere morbidi sul seno.
Presi l'eyeliner nero e disegnai una riga sottile fino a dove terminavano le ciglia. Mi concentrai su di esse,
applicando il mascara per mettere in risalto i miei occhi color blu mare. Infine passai un leggero velo di rossetto color carne
sulle labbre e mi vestì. Scesi in cucina e addentai un biscotto e prima di uscire di casa,
diedi un frettoloso bacio sulla guancia a mia madre che mi rimproverò con lo sguardo per la mia scarsa colazione,
se così potrei definirla, ma nonostante ciò mi sorrise con dolcezza e mi augurò una buona giornata.
Arrivai alla fermata del bus correndo, credendo di essere in ritardo come ogni mattina invece ero in anticipo di dieci minuti e solo dopo mi resi conto di essermi resa ridicola e mi rimproverai mentalmente.
Quando arrivò il pullman mi sedetti vicino al finestrino e misi le cuffie, lasciandomi trasportare in un mondo
che solo la voce di David Bowie mi faceva immaginare.

Quarantacinque minuti dopo ero arrivata a Londra. Inspirai l'aria londinese e la lasciai invadere i miei polmoni,
dandomi la carica per affrontare un'altra noiosissima giornata da liceale.
Raggiunsi Alison, la migliore amica che avessi potuto mai desiderare.
«Buongiorno El» mi disse sorridente e mi abbracciò, inondandomi con il suo profumo alle rose.
«Buongiorno» le risposi altrettanto sorridente. Alison era come un'epidemia, ovviamente in senso positivo e si lo so, è il peggiore dei paragoni che si potrebbero fare.
Fin da piccola sapeva contagiarti con il suo buon umore.
Le bastava sorridere per farti dimenticare tutto ciò che ti turbava.
Ovunque andassi, aveva sempre il sorriso sulle labbra e nessuno, dico nessuno, glielo poteva mai togliere.
Era una delle qualità che apprezzavo più di lei. Tuttavia anche lei aveva il suo tallone d'Achille: i ragazzi.
Appena un ragazzo le rivolgeva un qualsiasi gesto carino, lei si innamorava perdutamente e questo la distruggeva perchè non sto parlando di semplici cotte, ma proprio di amore.
E purtroppo era una cosa che non riusciva a controllare. La sua bellezza che era più che palese:
aveva gli occhi verdi e i capelli rossi, lisci fino al sedere.
Il suo viso era minuto ed era costellato di adorabili lentiggini rosse. Le sue labbra piene e rosee.
Era alta e slanciata, come me. Da fuori sembrava una furia, con i capelli rossi e la voglia di vivere ogni momento.
Ma dentro era una piccola fragile ragazza che desiderava solo trovare qualcuno su cui potesse contare sempre e che mostrava questo aspetto di sé con quelle poche persone di cui si fidava.
La invidiavo un po' per il fatto che sapesse già cosa volesse e sopratutto perchè sapeva quanto poteva dare.
Io invece, in diciasettanni di vita avevo solo combinato casini, e quella ad esserci rimasta da schifo per mesi è stata la sottoscritta.
La mattinata volò e senza rendermene conto era già arrivata la pausa pranzo. Mi sedetti con Alison e Matt.
Matthew, ma per famigliari, amici, piante e animali, semplicemente Matt.
E' il mio migliore amico, con cui uscivo in seconda superiore.
Siamo usciti per forse due mesi, ma dopo che ci baciammo per la prima volta capimmo che non saremmo mai potuti stare insieme. Eravamo praticamente come fratello e sorella, ci conoscevamo dalla prima media.
Dopo quel bacio, mi confessò che era omosessuale.
Ci rimasi molto male e non gli parlai per settimane perchè mi sentì usata e tradita, ovviamente perchè non si era confessato prima con me.
Non ha mai turbato me o Alison il fatto che Matt fosse gay, è sempre stato un bravissimo ragazzo dal cuore d'oro.
Ma non la videro così anche i suoi genitori. Quando decidette di farsi coraggio e dichiararsi, i suoi non la presero affatto bene e lo cacciarono di casa.
Per tre mesi dormì a casa mia, dove passai la maggior parte delle serata ad asciugargli le lacrime e fare maratone di tutte le stagioni di Sex and the City.
Tuttavia sua madre si sentì terribilmente in colpa e lo pregò di tornare a casa, e così fu.
La relazione con suo padre è sempre un su e giù ma ora le cose vanno di gran lunga meglio.
«Ragazze, ragazze, ragazze!» urlò istericamente Matt contro me e Alison che stavamo discutendo su cosa avremmo fatto sabato sera.
«Cosa succede?» dicemmo contemporaneamente.
«Avete visto il nuovo ragazzo? E' proprio carinissimo» disse scandendo bene l'ultima parola.
«Quale ragazzo nuovo? Non ne abbiamo sentito parlare» disse Alison.
«Ma dove vivete? Ne stanno parlando tutti da stamattina!» esclamò istericamente.
Mi venne da ridere perchè sembrava un quattordicenne alle prese con la prima cotta.
«E cosa ridi tu?»
«Niente, niente» risposi ancora divertita.
«Beh sentite, è un gran figo e dobbiamo andare a cercarlo» disse entusiasta.
«Ciò che devo andare a cercare io» dissi alzandomi dalla sedia e prendendo il mio zaino «E' un posto dove fumare tranquillamente» continuai sorridendo
e agitando la mano.

Uscì dall'uscita d'emergenza e salì le scale, portandomi ad una porta che conduceva al tetto.
Non c'era nessuno, perfetto. Mi sedetti per terra e accesi la mia Chesterfield blu.
A dire il vero odiavo queste sigarette, ma avete presente quando non potete fare a meno di qualcosa anche se la odiate?
Ecco cosa aveva combinato Jace con me. Lui e le sue stupide Chesterfield blu, un pacchetto nella mano e un altro nella tasca posteriore.
E' una delle tante tracce che ha lasciato nella mia vita.
Dal mangiare giapponese tutti i giovedì al saltare la prima ora del lunedì mattina,
perchè impegnati a intrecciare i nostri corpi sotto le coperte.
E anche se non siamo più niente, io la prima ora del lunedì la salto ancora. Sempre.
Una voce mi riportò alla realtà, lontana da quei felici ma tristi ricordi. Mi girai di scatto e scrutai il ragazzo davanti ai miei occhi.
Era alto, la pelle era molto pallida e aveva i capelli biondi come i raggi del sole e gli occhi color pece. Nero pece. Indossava una giacca di pelle piuttosto consumata, e dei jeans neri con dei strappi all'altezza dei ginocchi. Mi fece un sorriso sghembo mentre mi scrutava a sua volta.
«Sai tanto cosa vorrei sapere?» disse avvicinandosi lentamente verso di me. Non risposi e continuai ad osservalo, affascinata e irritata allo stesso tempo.
«Cosa si prova quando si arriva laggiù» continuò salendo sulla sporgenza del tetto «Cosa si prova in quei tre secondi»
proseguì andando avanti «Cosa si prova quando le persone accorrono a vedere il tuo corpo senza vita» si fermò «Cosa si prova quando vedono tutto quel sangue» disse serio.
«Tu vorresti saperlo?» mi chiese.
«Non lo so» risposi titubante.
«Se vuoi te lo dico io cosa si prova» disse rivolgendomi nuovamento un sorriso sghembo.
«Cosa?» chiesi non capendo cosa intendesse.
«Stai a vedere» disse prima di buttarsi giù.
«No!» urlai e mi alzai di scatto, lasciando cadere la mia sigaretta per terra. Corsi fino al cornicione, presa dal panico e dall'agitazione.
Ma quando guardai giù non vidi nulla, non vidi il suo corpo.
Non c'era asssolutamente nulla.

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⏰ Last updated: Apr 26, 2015 ⏰

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