(Da "Tallulah", Sonata Arctica)
Ricordati quando avevamo l'abitudine di guardar sparire il sole lontano
e quando tu dicevi "Questo invece non ha mai fine"
A ormai un mese dall'inizio della scuola, gli studenti erano già più che stanchi. L'anno scolastico era particolarmente pesante: non bastava il solito carico di compiti, verifiche, interrogazioni e lezioni tutto il giorno. La tirannia di quella megera della Umbridge era appena iniziata, e prometteva il peggio. Ma qualcuno ne soffriva più degli altri.
Seduta sul suo letto, nella sua camera sulla Torre di Corvonero, Cho guardava il giorno che lentamente si estingueva. Gli alberi cominciavano a perdere foglie: uno spettacolo incantevole, se solo fosse riuscita davvero a vederlo. La sua testa era altrove. Si sforzava- più che poteva- di non rievocare quell'altro tramonto. Quel sole che aveva annunciato la morte.
Come osava quello squallido rospo grasso dire che non era vero niente?
Che Voldemort non era risorto, che i Mangiamorte non si erano riuniti?
Che la morte di Cedric era stata un tragico incidente?
L'aveva definita così. Quasi come se il suo destino fosse stato colpa sua.
Ma Cho non le credeva. La sua fiducia andava ad altri.
A Silente, innanzitutto. Lui non aveva mai nascosto la verità ai suoi studenti. Perché farlo ora?
E poi, ad Harry, che ora per tutti era un pazzo visionario. La politica, la stampa, il potere si erano rivoltati contro di lui e contro la scuola, e così tutti, naturalmente, avevano abbassato la guardia. Ma il pericolo era nell'ombra, si avvicinava sempre più, ed assumeva le forme più subdole, come quella stregaccia vestita di rosa.
Harry era per lei una presenza confortante, ma anche inquietante. Non aveva dimenticato la rivalità tra lui e Cedric. No, non solo per il torneo. Anche per lei.
Si ritrovò a sperare che il sole non tramontasse più, non sparisse dietro le colline.
Doveva ricordare il tramonto, doveva tenere strette a sé le memorie, anche se le si conficcavano nel cuore come un pugnale. Solo così avrebbe potuto lottare. Non era ancora finita.
Credevo ad ogni tua parola, e penso lo facessi anche tu,
ma ora tu mi stai dicendo "Ehi, facciamola finita".
Mi prendi per mano e mi tiri vicino a te, così vicino
che ho come la sensazione che tu non trovi le parole
Ne ho trovata una per te: bacia la mia guancia, di' addio e vai via
non guardarti indietro, perché sto piangendo.
Il vento gelido rischiava di portarla via. Le alzava la gonna, il mantello, i capelli, ma non le importava. Era ormai sera inoltrata e Ottobre in Scozia era tutt'altro che mite. Ma pazienza. L'idea di caldo ed estate, in quel momento, le destava solo lacrime e tristi ricordi. Una volta tanto, non era dispiaciuta che venisse l'inverno.
La scuola, tutto sommato, non era ripresa male: i soliti voti abbastanza buoni e una serie di note disciplinari per aver chiacchierato troppo in classe, ma era normale amministrazione. La condotta era sempre stata un po' il suo punto debole, anche se il professor Piton, l'unico che mostrava pazienza nei suoi confronti, aveva ammesso di averla trovata un po' più tranquilla.
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Il cielo ha una porta sola
Fanfiction"Al bordo di una piccola piscina, su una sedia a sdraio a righe bianche e blu, una ragazza con un caschetto di capelli bruni, un costume vintage e grandi occhiali da sole leggeva con aria svogliata. Pansy Parkinson sbuffava, scorrendo rapida le noti...