CAPITOLO IV

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 «È ovvio, non potremmo mai raggiungerlo.» Sbottò Uriel guardando subito l'altro ragazzo, lanciandosi l'ennesimo sguardo d'intesa.

«Cosa possiamo fare?» Domandai intontita, nonostante stessimo camminando già da venti minuti, l'enorme distesa di prato dinanzi a noi non diminuiva nemmeno di un metro, dandoci l'impressione di star esattamente nello stesso punto del principio. Nessuno dei due mi rispose, ma Marek mi si parò davanti e si inginocchiò quel tanto che bastava, voltandosi poi per fissarmi con espressione indecifrata. «Sali.» Sentenziò con un tono che non ammetteva repliche. Voleva portarmi in spalla, ma per quale motivo? Non obbiettai comunque, capendo sin da subito che avessero qualcosa in mente e salii sentendo le mani fredde che mi reggevano le gambe. Avvinghiai le braccia al suo collo e distolsi il viso lievemente imbarazzata per la piega che aveva preso tutta la situazione in sé.

«Ci vediamo tra... due minuti.» Sogghignò Uriel guardandoci, improvvisamente non lo vidi più. Sparì dai nostri occhi cominciando a correre talmente veloce che sembrava quasi volasse. Una macchia più lesta del vento dipinta di beige ed un vago rosso. Rimasi sbigottita e con le labbra socchiuse per la sorpresa.
«Reggiti.» Fece Marek prima di partire. Non appena cominciò a muoversi mi resi conto di quanto anche la sua velocità fosse incredibilmente sorprendente, strinsi le braccia attorno a lui e nascosi il viso tra la nuca e la spalla, un po' perché non riuscivo a sopportare tutto il vento che provocava spostarsi a quella velocità assurda ed un po' perché bisogna esercitare parecchia forza per far sì che non finissi scaraventata al suolo. Il profumo di quel ragazzo in quel momento era ancora più palpabile ed inebriante. Qualcosa di unico e mai sentito, probabilmente non si trattava di colonia né di altre fragranze artificiali, era il profumo di un non umano. Non era l'unico a differenziarsi per l'odore in quel posto, persino su Uriel sentivo una fragranza invitante e stuzzichevole, mentre quello di Richard invece in alcuni momenti mi dava un po' la nausea e la stessa cosa mi capitava lungo i corridoi quando il cammino s'incrociava con razze opposte alla mia.
Le guance mi si colorarono di un consueto rosato che probabilmente faceva spiccare ancor più le lentiggini che odiavo, non ero in imbarazzo ma forse solo a disagio. Marek era freddo e sotto la sua pelle sembrava non pulsare nessun sangue, non riuscii a sentire nessun battito. Non aveva cuore? O forse la situazione mi giocava brutti scherzi? ...Non appena mi mise giù tornai alla realtà, piegandomi momentaneamente su me stessa per l'improvviso conato che mi disgustava lo stomaco – era uno degli effetti collaterali dello spostarsi così velocemente, ma in modo ovvio loro ci erano abituati. Uriel era già lì che ci aspettava. Con i capelli ancora impeccabili che si sistemava la giacca della divisa già perfetta così com'era.

«Sei lento come al solito, farfallina.» Fece riferendosi a Marek e rise appena. Io non ero in vena di ridere, mi accorsi solo qualche istante più tardi del buio che ci circondava in quel posto. Mi rizzai subito guardandomi attorno abbastanza spaventata, d'istinto mi avvicinai ai due trattenendo la manica della giacca di Uriel; ne scaturì un'occhiata torva da entrambi i ragazzi. Le mie dita andarono a strattonarne il tessuto stringendolo appena.
«L'avete sentito?» Domandai allarmata quando uno strano fruscio si levò tra i cespugli fitti, di qualche passo più avanti a noi. La nausea assurda che mi travolgeva insieme al pulsar delle tempie in quel momento passò non al secondo ma forse al decimo posto per grado d'importanza, loro se ne accorsero qualche secondo più tardi di quel suono strano e si pararono dinanzi a me facendo sì che potessi nascondermi dietro le loro schiene. «Dovremmo consegnare in fretta questa cosa ed andarcene all'istante...»

«Non vorrei allarmarti, ma hai mai sentito parlare di spettri?» Marek parlò a bassa voce, modulandone il tono in maniera tale forse da non farmi venire un infarto in quel momento. Uriel sospirò come seccato, anche se le loro espressioni rimanevano terribilmente serie, mi trascinarono con loro alla ricerca di quello stramaledetto guardiano che sembrava giocare a nascondino con noi. Come la signorina Packard ci ordinò non avevamo attraversato la foresta, infatti i fitti alberi si trovavano forse ancora a tre o quattro chilometri di distanza da noi, eppure tutt'intorno aveva già l'atmosfera tetra da Caed Dhu che intanto nella mia testa assumeva sempre più consistenza.

La terra cominciò a tremare quasi subito dopo e le mie orecchie vibrarono insieme ad essa, forse avvertendone l'imminente pericolo. Divenne sempre più simile ad un terremoto troppo lungo e per di più il rumore stridulo e molesto da cui era accompagnato si faceva sempre più potente, tanto che m'accasciai al suolo coprendomi le orecchie con le mani.
«I miei timpani! I miei maledetti timpani! Mi stanno scoppia—ah!» Mi morsi il labbro così forte che ben presto una piccola goccia di sangue mi bagnò la lingua facendomi assaporare quel ferrigno stranamente dolce. I due ragazzi sembrano esser più resistenti di me ma era inevitabile far caso a come la foresta stesse mutando.
Gli alberi in lontananza sembravano cadere e spostarsi per far strada al rumore agghiacciante che ci stava investendo, fino a che non la vedemmo. Una casetta di ferro e latta poco larga e tanto alta, tanto almeno come i soffitti dell'accademia. Lo capii subito, erano le sue radici a far rumore, grandi, no... enormi zampe di caprone dagli zoccoli giallognoli e marci. Strusciando contro il terreno della Caed Dhu lo arava riportando allo scoperto vari artigli che tentavano di risalire in superficie, il fetore che sprigionavano invece portava me ad un passo sottile dal vomito. Si fermò solo una volta arrivata a pochi metri da noi, con un boato deciso le zampe di caprone sparirono e il tonfo clamoroso fermò la terra ed anche la mia agonia. I due ragazzi di fianco a me erano stati allerta per tutto il tempo e sembravano non voler smettere nemmeno con la fine di quel trambusto.
Solo qualche passo in più lo vedemmo, quando la porta della vecchia dimora si aprì e le tenebre uscirono velocemente mediante ombre distorte e fumo nero, indietreggiai di qualche passo nonostante Uriel mi tenesse il polso, ed era proprio impossibile liberarmici. Il mio viso era sconvolto, gli occhi pieni di terrore parlavano chiaro. Avevo paura e non riuscivo a nascondere il tremore delle gambe nemmeno quando m'alzai dal suolo.
«Cosa... cosa è quell'essere...?»

La figura che ne susseguì subito dopo era completamente nera, si fece spazio tra le erbacce secche ed incurate, avanzava verso di noi e fu proprio allora che tutti e tre potemmo capire cosa ci stava davanti. Sembrava un essere umano per statura e postura, ma era chiaro che non lo fosse; aveva due bocche dai denti aguzzi e larghi tra di loro, i capelli sembravano le spire di un serpente in perpetuo movimento. Non era molto alto, eppure bastò l'umidiccia saliva sgorgante attorno a quelle bocche larghe ad incutermi il giusto timore.

«Voi dovreste essere gli studenti di cui mi hanno parlato gli spiriti del bosco.» Parlò. Aveva una voce che sembrava non uscire dal suo corpo deforme, bensì parvero gli alberi tutt'attorno a parlare, voltandomi mi accorsi che non vi era più la strada che avevamo appena percorso per raggiungere quel posto, all'orizzonte c'era solo uno sfondo così tetro da non riuscire a distinguerne la fine semmai ci fosse. Dando un'occhiata ai miei compagni mi resi conto che i loro denti si erano allungati e gli occhi di entrambi adesso fiammeggiavano in un rosso vivo; stranamente di loro non mi spaventai. Marek consegnò il pacco allo spettro del bosco ed indietreggiò poco dopo ritornando al fianco di Uriel.
«Adesso possiamo andare?» Quest'ultimo sembrò controllare a stento il tono irascibile, lo spettro storse i lineamenti già sfocati in un guizzo cattivo; "portate con voi un bottino molto ghiotto", stavolta, la voce echeggiò nell'aria e a parlare sembrava stata tutta la foresta. Uriel s'irrigidì ed avanzò più del dovuto.
«Il nostro compito è terminato, non ci interessano inutili chiacchiere.»

Un grugnito roco si levò dagli alberi spaventandone persino tutte le creature al suo interno – li sentii tremare anche se non so come, stormi grigi e neri si mescolarono a quel cielo cupo disperdendosi ovunque, abbattendosi su di noi in un attacco improvviso e minaccioso. I due tentarono di proteggermi, ma le zampette malefiche di alcuni uccelli gracchianti riuscirono a strapparmi qualche capello ed a graffiarmi qualche porzione di pelle scoperta sulle gambe. Sentii qualche goccia di sangue gocciolare poco dopo e le risa del guardiano che facevano male ad orecchie e gola.
"Come osi rivolgerti al guardiano in questo modo, vampiro?" il braccio del mostro s'allungò di metri e metri sino a toccare la guancia di Uriel che rimase impassibile ed immobile. Bastò un solo sfioro per farlo indietreggiare bruscamente ed insieme ad esso gli artigli che volevano scalar il suolo della foresta, spaventati si ritirarono al loro interno con lamenti agonizzanti. Ero confusa e sembrò esserlo anche Marek.
"Andate via!"; fu tutto ciò che disse il guardiano prima di sparire nella coltre della sera.
I miei compagni rientrarono i canini e a me qualche brivido percorse la schiena; cercai di ignorarlo.

«Mi rendo conto del perché la gente qui non ami le punizioni, siamo solo ai piedi della foresta, ma lì dentro...»
«Torniamo indietro.» Uriel lo ammonì guardandolo di traverso.
«Non possiamo, il sentiero è...» Il sentiero era di nuovo lì, me ne accorsi quando cercai loro di mostrare il tunnel infinito ch'era apparso solo poco prima.
Il ragazzo dagli occhi pece e la venatura dorata, mi prese in spalla proprio come all'andata, e circa un minuto dopo l'improvvisa luce ci stordì tutti e tre, era qualcosa di incredibile, il tempo sembrava andare al contrario... se andando verso la foresta sembrava accelerare il processo notturno ed il freddo andava progressivamente ad inspessirsi, tornando all'accademia invece gli ingranaggi partivano al rovescio inondando la radura di nuova luce. L'ultimo balzo di Marek ci portò a dieci metri dai cancelli d'ingresso, mi poggiò a terra facendomi segno di avanzare – Uriel intanto già si era incamminato qualche passo davanti a noi.

«Almeno fino ai cancelli fingiamo di aver camminato.» Borbottò la chioma corvina, proseguendo per conto suo.
«Grazie per avermi protetta, ero davvero sul punto di–...»
«Non accadrà di nuovo.» Uriel sentenziò quelle parole con un tono scocciato – erano entrambi a distanza degli stessi passi, dinanzi a me che camminavano dandomi le spalle. «Non siamo i tuoi protettori.»
«Non vi ho chiesto di esserlo, vi ho solo ringraziato per oggi.» Sbottai stringendo i pugni lungo i fianchi, possibile essere così ottusi?
«Stacci alla larga, volpe.» Marek l'aveva detto con un noto disprezzo scandito dalle corde vocali intorpidite per quanto poco parlasse, si era voltato a mezzo viso, non abbastanza per rivolgermi lo sguardo ma solo per guardarmi di sottecchi. L'altro parve esser d'accordo con lui, visto che sparirono entrambi senza aggiungere altro.
Quella notte non riuscii proprio a dormire, continuavo a ripensare alle cose successe negli ultimi giorni, allo spettro agghiacciante che avevamo visto ai piedi della Caed Dhu, a come con un sol tocco su Uriel s'era ritirato e a tal proposito... non ero ancora riuscita a scoprire di che razza erano Marek ed Uriel; ormai avevo imparato che la parola "vampiro" non bastava a descrivere uno studente. Eppure, il loro cambio di umore mi turbava persino più delle mille domande che avevo.

Sbuffai per l'ennesima volta, Dorothée dormiva dall'altro lato della stanza con un sereno sorriso in volto ed i raggi del sole ormai oltrepassavano il tessuto delle tende lillà che la mia compagna aveva messo davanti la finestra, sorrisi di rimando mentre scendendo dal letto quasi non scivolai su un foglio abbandonato sul pavimento, raccogliendolo mi resi conto fossero le regole scolastiche che ancora non avevo preso la briga di leggere.
"Regolamento scolastico:
1: non rivelare la propria identità (né mostrare i propri poteri) agli umani.
2: Non oltrepassare i confini dell'accademia.
3: E' vietato l'uso delle proprie capacità all'interno dell'accademia, se non durante dimostrazioni e/o lezioni inerenti.
4: Non saltare le lezioni, a meno che non siano giustificate dal preside.
5: Rispettare il coprifuoco notturno. ( Si ricorda agli studenti che il controllo nelle camerate è prefisso per le 22:00 ).
6: Sono vietate le relazioni amorose tra gli studenti.
7: Qualsiasi creatura che abbia bisogno di sangue, o altro nutrimento derivato da esseri umani, dovrà procurarselo alla mensa.
8: E' previsto una volta al mese un campeggio che si terrà nella Caed Dhu - a rotazione per ogni classe, nessuno studente può sottrarsi senza ricevere penalità.
9: E' ASSOLUTAMENTE vietato introdursi nella Caed Dhu nei giorni comuni e senza permesso.
10: E' vietato disturbare le lezioni ed arrivare in ritardo ad ognuna di esse.
11: E' severamente proibito girovagare nell'ala est dell'accademia.
12: E' vietato agli studenti di sesso maschile girovagare nei dormitori femminili, e viceversa."
Recitava così il foglio attaccato quasi in ogni angolo dell'accademia. Roteai gli occhi al cielo e lo abbandonai sul letto alzandomi di lì; avrei voluto mi mancasse la mia vecchia vita, eppure non era affatto così.

Chiamai Dorothée per avvertirla ch'era ora di alzarsi mentre mi apprestavo ad indossare la divisa. Quell'azione che ormai ripetevo spesso mi faceva sembrare a tutti gli effetti un'allieva della Saint Bàra senza che nemmeno me ne rendessi conto. Eppure nonostante fossi parte integrante di quel mondo, mi sentivo sempre come il pezzo di un puzzle che non riusciva ad incastrarsi col disegno che lo circondava, ma che per disgrazia anzi aveva perso i pezzi perfetti per lui, per me.
Erano passate diverse settimane dalla punizione che mi aveva sconvolto e tormentato per parecchie notti, il fatto che nemmeno la mia compagna di stanza riusciva a spiegarsi un avvenimento simile, non mi aveva di certo rassicurato. Eppure il tempo sembrava passare incurante del mio stato d'animo, continuavo ad andare a quelle assurde lezioni che non capivo, a ricevere rimproveri dal professore Alais sul mio rendimento ed incrociare nei corridoi persone che volevano senza dubbio sbranarmi ma che mai azzardavano a farlo, probabilmente terrorizzati dalle punizioni che avrebbero potuto spettargli. Non parlai più con Uriel e Marek, entrambi sembravano ben decisi ad ignorarmi. Quando eravamo a lezione mi tenevano le spalle nonostante dividessimo il banchetto ed Uriel in particolare ci teneva a farmi sentire la cosa più puzzolente di tutta la scuola. A volte lo percepivo il suo fastidio, si passava la mano tra i capelli scuri e sospirava spazientito – io cercavo semplicemente di farmi più piccola e coprirmi con la giacca.

Quella mattina vidi Marek entrare in aula poco dopo il mio arrivo, aveva le solite cuffie alle orecchie ma io non ci avevo messo molto a capire che non ascoltava proprio nessun tipo di musica; probabilmente le teneva su solo per non esser disturbato da nessuno. Poco dopo arrivò anche il professore, ma di Uriel nessuna traccia, Dorothée mi aveva detto che lui saltava spesso le lezioni scolastiche per "questioni di salute" anche se non seppe dirmi nello specifico di cosa si trattasse.
«MAREK KOWALSKI!» La voce dell'insegnante tuonò all'interno dell'aula, cercando disperatamente di richiamare il mio compagno che si era appisolato sul banco. Marek sollevò il viso allargando appena le narici in un'espressione dallo sguardo apatico. «Pensi di essere in camera tua? Questa è una lezione, non vedi?»
Il mio compagno sorrise mesto grattandosi il mento e togliendo una cuffia.
«Me ne dispiace, non volevo addormentarmi ma Eireen mi ha detto che solitamente le sue lezioni sono inutili e che potevo tranquillamente occupare il tempo dormendo.»
Il panico dilagò sul mio viso, ed invano cercai di giustificarmi in qualche modo. Una volta sbattuti fuori dall'aula però, lo guardai da diversi passi di distanza, infuriata e delusa da non so cosa.
«Sei uno stupido, un imbecille!» Sbottai, gli diedi istintivamente un calcio sullo stinco dimezzando completamente la distanza tra noi.
«Vuoi lottare con me, piccola volpe?» ghignò in modo malvagio e sembrò che il mio colpo non gli aveva sortito nessun effetto. In meno di un nano secondo Marek si avventò su di me bloccandomi per le spalle e sbattendomi contro il muro. Il tonfo che si sentì fece piombare nuovamente il silenzio lungo tutto il corridoio. Poggiò le labbra tra il muro e l'incavo del mio collo, allungando i canini il giusto necessario perché ne sentissi la consistenza sulla carne. Rabbrividii.
«Quando decidi di lottare con qualcuno, assicurati di poterne uscire vincitrice.» Sussurrò maligno, ritirò poi i denti lasciandomi andare come se mi ripudiasse. Mi lasciai scivolare contro il muro, rannicchiandomi a terra. Non ero imbarazzata ma anzi, avrei potuto morire per la paura che quell'idiota mi aveva provocato. Magari era proprio come nei film e sarei diventata un vampir-volpe o qualcosa del genere, il solo pensiero mi fece raggelare, non volevo bere il sangue di nessuno.

Il corridoio era deserto e dall'aula sembravano non aver sentito nulla o forse lo ignoravano semplicemente. Marek aveva gli occhi rossi, evitò in tutti i modi di incrociare i miei e si poggiò contro il muro a pochi passi da me.
«Sei brava a sferrare calci, dovresti farlo per professione.»
Lo fulminai con gli occhi, mi sollevai da lì e a grandi passi lo raggiunsi, misi le mani contro le sue spalle e gli conficcai le unghie nella giacca anche se non erano di certo affilate ed in grado di lacerargli il tessuto. A stento trattenevo la rabbia.
Lo guardavo negli occhi nuovamente neri, tentai di mantenere lo stesso sguardo duro con tutta la buona volontà ma mi scappò una lacrima proprio nel momento meno opportuno e chissà poi per quale assurdo e sconcertante motivo.
«Andate tutti al diavolo.» Bofonchiai stizzita, allontanandomi da lì; punizione o meno non m'importava molto. Mi sentii afferrare però il polso poco dopo, le dita di Marek erano così fredde da incutermi tristezza immediata.
«Per ora andiamo a mangiare, ho fame.» Disse dopo qualche secondo passato a soppesarci e dove il silenzio aveva regnato sovrano.
«Dove è finito lo "stai alla larga a noi"? Se credi di potermi trattare come meglio credi, a seconda dei tuoi stupidi umori hai toppato di grosso.» Sentii la sua presa stringersi maggiormente e lo sguardo indurirsi. Non proferì assolutamente parola ed anzi mi trascinò con sé verso la mensa e ogni qualvolta cercassi di liberarmi da lui, mi stringeva di più – capii che era tutto inutile e quando mi calmai sembrò addolcire anche lui la presa.
«Non puoi fare sempre come pare a te!» Sbottai stizzita, la mensa a quell'ora era completamente vuota.
«Dicono che da sazi il mondo si veda con occhi diversi, pensa a tutta la carne che hai desiderato sino ad ora e mangia.»
A tal proposito, avevo sempre desiderato carne di lepre o capriolo, ma mentre pensavo a quello Marek recuperò dalla mensa un bicchiere contenente liquido rosso e una cannuccia; non faticai a capire che quello non era vino, evitai di pensare all'assurdità invece della cannuccia e dove la scuola procurasse sangue a quei demoni. Presi tuttavia la mia porzione di carne al sangue ed occupai un tavolo a caso, alla Saint Bàra la mensa era sempre aperta. Incredibile.
«Vuoi provarlo? Se ne ingurgiti una sorsata farò qualcosa che vuoi particolarmente. Tranne morire, non ne sono in grado.» Fece sedendosi di rimpetto a me.
«Non ci penso proprio, puzza da morire. »
«Ci sono vampiri che per questa puzza perderebbero ogni traccia d'umanità. Semmai ne abbiano.» I suoi occhi s'incupirono, temporeggiai per qualche istante, poi decisi di ignorare quella sensazione angosciante.
«Fai questo perché speri che ti offra un po' del mio coniglio forse?» Storsi il naso accentuando quello spruzzo di lentiggini odiose, cercavo di non togliergli gli occhi di dosso come se lo stessi sfidando e nel mentre rendevo più noto il fatto di star sgranocchiando ossa di coniglio facendo un sonoro rumore con la lingua e fastidiosi schiocchi di labbra. Marek inarcò un sopracciglio e si sporse contro il tavolo verso di me, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
«Tu hai un sapore decisamente più buono di questo coniglio, eppure non ti ho mai mangiata... perché dovrei assaggiare questo?» Piantò gli occhi adesso violacei sul mio viso, mantenendo un tono basso mentre un lento sorriso gli curvava le labbra. In quel momento arrossii per la prima volta davanti a lui, sentivo qualcosa di strano sulla mia testa e quando lo vidi alzare lo sguardo su di essa con espressione quasi assorta, mi toccai il capo sentendo la morbidezza di due orecchie... da vera volpe. Che diavolo stava accadendo? Bastava che m'imbarazzassi e spuntavano quelle cose da mostro? ...L'osso che fino a poco prima stava tra i miei denti cadde nel piatto, di scatto andai a rintanarmi sotto il tavolo coprendomi quelle cose orripilanti.
«Se mi guardi ti ammazzo!» Dissi stringendo gli occhi, era la temperatura sotto quel tavolo ad essere tanto elevata? ...Osservai le gambe di Marek che non si mossero di un millimetro, allungai titubante la mano verso la sinistra e gli strinsi appena la stoffa dei pantaloni. «Sei serio quando dici di volermi mangiare?»
Con un movimento repentino liberò la gamba dalla mia presa e si abbassò accucciandosi insieme a me sotto il tavolo, mi afferrò il polso prima che potessi sfuggirgli. Vidi i suoi denti scoprirsi in un ghigno divertito.
«Tu che dici? Secondo te voglio mangiarti sul serio? Avrei potuto farlo quando mi sei venuta addosso la prima volta, poi quando ti ho vista in classe ed infine anche prima in corridoio. Potrei farlo anche ora pensandoci.» Si sporse verso di me aprendo la bocca quasi come se si stesse preparando a mordermi, io sobbalzai e lui si fermò invece esattamente ad un centimetro dal mio viso, soffiandoci sopra il suo alito freddo, quasi glaciale. «Ho deciso che per oggi aboliamo il lasciaci perdere. Scommettiamo tanto che entro la fine del mese sarai tu a dirlo a noi?»
Il suo tono basso e roco mi fece immobilizzare, la mano libera di Marek carezzò il mio orecchio che come turbato da una scossa elettricità si mosse appena, arrossii di nuovo. Mi sentii nuda davanti a quegli occhi dal colore sempre diverso e travolgente quanto malinconico.

Mancavano ventisei giorni alla fine di quel mese, ventisei giorni in cui un finale già incerto sarebbe divenuto impossibile.

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Ciao! Grazie per aver letto anche questo capitolo! Chiedo scusa per eventuali errori.
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L'ultima Kitsune - I misteri della Saint BaràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora