Capitolo 3

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Capitolo 3

Dormire. Dormire. Devo dormire.

Ho passato tutta la notte a cercare di prendere sonno, rigirarmi da una parte all'altra in un letto sconosciuto, tra coperte di la ruvida che mi irritano la pelle.

Ho visto l'alba affacciata alla finestra, la piazza riempirsi di mercanti, donne e bambini.

Mi sono passata le dita tra i capelli, cercando di darmi una sistemata prima di scendere di sotto. Ho deciso che darò il meglio di me come cameriera, nonostante sia una cosa nuova per me, ma non posso assolutamente rischiare di perdere questo lavoro.

"Emma, sei sveglia. Vieni con me, ti do dei vestiti" mi dice Livia non appena varco la porta della cucina. Il suo sguardo cade sui miei piedi nudi. "E anche dei sandali" aggiunge.

Ed in effetti è la cosa di cui ho più bisogno al momento. É da ieri che cammino scalza, ormai i miei piedi si sono abituati al freddo e ai sassi.

La seguo in camera mia e mi mostra dei vestiti: due tonache bianche come quella che ho addosso, ma una con lo scollo a V e uno rotondo, lunghe fino al ginocchio e di stoffa più spessa e coprente.

Indosso la tonaca con lo scollo rotondo e i sandali di cuoio che mi ha procurato. Poi Livia mi porge un pezzo di stoffa rossa e, vedendo la mia confusione, provvede a legarmelo partendo da dietro la nuca e in avanti, poi un giro intorno alle spalle e due in vita, per poi concludere con uno nodo sul davanti.

"Ti sta bene" mi dice accennando un sorriso.

La ringrazio e lei mi guarda con uno sguardo materno. Da quanto ho potuto intuire non ha avuto figli, oppure non ne ha più. Non mi sembra cortese chiederle cose così personali dato che la conosco da nemmeno ventiquattrore e lei e il marito si sono rivelati così gentili con me.

La mattina scorre in fretta e la passo per lo più a servire i clienti, portando loro il cibo e servendogli il vino.

Gli uomini che frequentano la locanda non sono ricchi ma nemmeno poveri, gente benestante che è solita pranzare alla locanda con del buon vino. Anche se non è propriamente vino quello che gli viene servito. Ho sbirciato la cuoca miscelarlo con dell'acqua prima di passarmi la brocca da portare al tavolo.

Penso che la cucina dell'ostello sia il locale più piccolo e tetro di questo poso: uno sgabuzzino occupato quasi interamente da un focolare in muratura, invaso dal fumo che esce da un buco sul soffitto in assenza di fumaioli. Alle pareti sono appese pentole e casseruole con accanto dei colini di bronzo. Il piano di cottura è costituito da un bancone in muratura con una brace sulla quale, una volta calda, vengono posizionati dei treppiedi di metallo da usare come fornelli per appoggiarci le pentole.

I cucchiai sono di bronzo e le forchette hanno solo due punte, anche se i commensali non li usano così tanto: con la mano destra mangiano i cibi solidi e con la sinistra bevono dal calice.

Ma la cosa che mi ha stupito di più e fatto più arrabbiare è stato il veder gettare per terra gli avanzi del cibo. Fin da piccola non lascio mai nulla nel piatto ed anche se sono piena cerco di finirlo tutto. Mi hanno sempre ripetuto che ci sono bambini nel mondo che sognano un piatto come il mio e che piangerebbero vendendomi sprecare questo cibo.

Ho chiesto alla cuoca, il cui nome è Publia, il perché e lei mi ha guardato molto strano, con il suo naso appuntito come quello della befana della Kinder.

"È indecoroso lasciare del cibo nel piatto!"

Mi ha squadrato dalla testa e ai piedi ed è tornata al lavoro.

Non è una donna che ama chiacchierare quando è concentrata a cucinare. Perlopiù la sento canticchiare un melodia a bassa voce.

"Hai sentito della rapina?" Al sentire la parola 'rapina' le mie orecchie diventano come quelle di un elefante. "Pare proprio che alla matrona, quella lì, la moglie di Marzio, gli sia stata rubata la corona di rubini. Si, hai capito bene! Quella che le ha regalato il marito. Ho sentito dire che non stanno navigando nell'oro, che l'aumento dei prezzi ha colpito pure loro. E Marzio stava pensando di vendere quella corona, ma la moglie ne è così affezionata, non glielo avrebbe mai permesso. Ora è distrutta dal dolore, dicono che non voglia più uscire di casa. Povero marito, andrebbe in bancarotta per non sentire le lamentele della moglie. Oh, dovresti sentire che blatera quella donna! Non fa altro che maltrattare le sue schiave. Un'amica di mia figlia lavora per lei, dovresti vedere com'è cambiata. Ha tutto il viso scavato!"

Ascolto la conversazione tra i due uomini senza dare troppo nell'occhio, affaccendandomi qua e là per restare nei paraggi, anche se so più di loro riguardo l'accaduto. Conosco anche il viso del ladro. L'ho cercato tutto il giorno sperando di vederlo passare per strada o di entrare nella locanda. Ho così tante domande. Sono certa di averlo già visto prima, ma non ricordo dove.

Livia mi fa segno di andare a riempire i bicchieri ai due uomini e, non appeno mi avvicino al tavolo, il monologo dell'uomo si interrompe e l'altro cambia discorso. 

Perdersi un giorno d'autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora